Foraging, che cos’è, come funziona e come si fa

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La raccolta di erbe selvatiche da usare in cucina è tornata di moda. Qui ti spieghiamo che cos’è, come funziona il foraging e perché rappresenta anche un modo per tutelare gli equilibri della natura

Sai che cos’è il foraging? Si tratta della raccolta di erbe selvatiche, che nascono spontaneamente, qualcosa che conosciamo da sempre. Per capire come si fa e come funziona abbiamo parlato con Valeria Margherita Mosca, esperta di foraging e fondatrice di Wood*Ing Lab, laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’impiego del cibo selvatico e dei prodotti spontanei, che si sta per trasferire all’interno del parco di Monza. «È l’attività più antica dell’uomo e fino all’800 aveva ancora un ruolo importante nell’alimentazione dei contadini», racconta. «Sono poche le persone esperte nel’arte di questa raccolta», continua l’esperta.

Come iniziare a fare foraging e quali sono le regole da seguire

«Non ci si può improvvisare nella pratica del foraging. Per ogni erba buona da mangiare, ne esiste anche una tossica. Puoi iniziare, quindi, imparando a riconoscere 2-3 piante, e poi aggiungere progressivamente altre specie».

Non solo: il foraging deve essere conservativo, per tutelare l’ambiente. «La raccolta delle erbe può dare una mano a proteggere la natura, evitando di impoverire gli ecosistemi», spiega Mosca. Ecco perché ci sono regole da seguire.

  • La prima regola è non sprecare: raccogli solo quello che puoi consumare.
  • La seconda regola è non spogliare una pianta di tutti i semi o frutti.
  • La terza regola  è limitare la raccolta di specie rare e concentrarsi, invece, su quelle invasive: piante introdotte in Italia, spesso a scopo decorativo, che per mancanza di predatori o parassiti si sono moltiplicate a dismisura, togliendo spazio alle varietà autoctone e riducendo la biodiversità. Raccogliendole, favoriamo gli equilibri naturali.

Qui di seguito, ecco qualche esempio per cominciare a impratichirti.

La felce dolce

La chiamano anche falsa liquirizia e va raccolta con molta parsimonia perché non è una specie invasiva. È una piccola felce dalla forma molto aggraziata che cresce nel sottobosco. Ama i luoghi umidi e ricchi di muschio delle montagne sopra i 700 metri. Di questa pianta, chimata anche Polypodium vulgare, si mangiano soprattutto le radici. Sono dei rizomi che vanno estratti dal terreno con delicatezza.

  • Come si consuma Una volta lavate, le radici della felce dolce si possono consumare crude a pezzetti come snack. Oppure si seccano, si macinano e si usano come spezia aromatizzante sui dolci, sul gelato e sulle macedonie. In fitoterapia sono apprezzate le loro proprietà di espettorante naturale. Hanno anche un’azione depurativa per il fegato.

Il fico degli ottentotti

Il fico degli ottentotti è molto diffuso nelle nostre spiagge, dove è stato introdotto per stabilizzare le dune di sabbia. Da lì è dilagato senza trovare ostacoli, grazie anche alla sua bellezza. Sono in molti a raccoglierlo e a ripiantarlo. Da maggio ad agosto produce fiori gialli, fucsia o bianchi e si riconosce per le foglie succulente lunghe, strette e a sezione triangolare.

  • Come si consuma Del Carpobrotus edulis, il nome dotto del fico degli ottentotti, si mangiano le foglie scottate e messe sottaceto, o i frutti aciduli che maturano alla fine dell’estate. Ha proprietà antibatteriche e antinfiammatorie. Uno studio ha anche scoperto che può aiutare la prevenzione di alcuni tumori.

La bardana

Ancora oggi è molto popolare in erboristeria, ma pochi conoscono le sue foglie spropositate. È diffusa in tutt’Italia, a parte in Sicilia, e cresce fino a 1200 metri nei prati incolti. Della Bardana (Arctium lappa) si usano soprattutto le radici, che assomigliano a carote bianche. Si raccolgono alla fine dell’estate estirpando le piante di cui vedi i fiori secchi. È infatti una specie biennale che fiorisce una sola volta.

  • Come si consuma Se la cogli prima, la radice non è abbastanza grossa e succosa. Si mangia cotta e il sapore ricorda quello del carciofo. Le sue proprietà sono tantissime: depurativa, lassativa, riduce il colesterolo e la glicemia. Ed è utilissima per contrastare l’acne.

Il corbezzolo

È un classico delle coste e dei boschi del Mediterraneo. Un alberello sempreverde che arriva al massimo a 8-9 metri e ha la particolarità di fiorire e fare frutti a partire dalla fine dell’estate. Così capita di vedere contemporaneamente sui rami il bianco dei fiori, il rosso dei frutti e il verde delle foglie, quasi un simbolo dell’Italia. Non è una specie invasiva, ma neppure rischia l’estinzione.

  • Come si consuma Del corbezzolo (Arbutus Unedo) si mangiano sostanzialmente i frutti, che come gusto assomigliano vagamente alle ciliege, ma con un sapore meno acido e una texture più ruvida. Puoi gustarli crudi o farne marmellate. Hanno proprietà diuretiche e astringenti.

Il poligono del Giappone

Il poligono del giappone è una pianta estremamente invasiva. Una specie erbacea alta anche 2-3 metri, che si adatta a qualsiasi clima, ma predilige le rive dei corsi d’acqua e gli angoli incolti. Arriva dal Giappone e in Italia non ha predatori o parassiti naturali che lo limitino. In più, per farsi spazio avvelena le altre piante con sostanze tossiche emanate dalle radici. Insomma, è una pianta da raccogliere il più possibile. 

  • Come si consuma Ha un sapore niente male, che ricorda il rabarbaro ed è ottimo per fare marmellate. Del poligono del Giappone (Reynoutria Japonica) si mangiano soprattutto i giovani fusti che hanno proprietà emollienti, depurative e diuretiche.

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Il luppolo

Molti conoscono il luppolo perché è un ingrediente della birra, ma è anche una pianta rampicante molto diffusa in tutta Europa. Cresce ai margini dei boschi fino a 1000 metri e sulle reti di confine dei giardini, un po’ come i rovi. Per fare la birra si usano i fiori, delle piccole pannocchie verde chiaro, ma in cucina sono i germogli i più apprezzati.

  • Come si consuma La parte finale del ramo assomiglia un po’ a un minuscolo asparago: infatti, in alcune zone d’Italia lo chiamano asparago selvatico. Il suo gusto amarognolo e aromatico lo rende ideale nei risotti, nelle minestre e nelle frittate. All’Humulus lupulus (è il nome botanico) si riconoscono proprietà calmanti e quasi ipnotiche, ideali per conciliare il sonno.

APERITIVI “SELVATICI”

Si chiama Selvatiq il progetto a cui ha partecipato Valeria Margherita Mosca per la creazione di una linea di alcolici a ridotto impatto ambientale. «Si tratta di gin, vermouth e bitter ottenuti da foglie, cortecce e licheni di foreste certificate Fsc», spiega l’esperta.

«Questi prodotti sono davvero sostenibili: per produrli usiamo solo piante ed erbe selvatiche che crescono in abbondanza nei boschi e che possono essere raccolte senza danni per l’ecosistema. Sono per così dire i suoi scarti, pur essendo freschissimi. Anche l’imballaggio è eco: bottiglie in vetro riciclato al 100% ed etichette, in carta riciclata, senza colla». A settembre 2020 sarà lanciata anche una linea di analcolici “selvatici” in vendita nei super

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Articolo pubblicato sul n. 20 di Starbene, in edicola e nella app dal 14 luglio 2020




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