Di Jonatas Di Sabato
In vista degli ultimi giorni di campagna referendaria, a schierarsi con il ‘No’ c’è anche l’On.le dottor Enrico Indelli. Già parlamentare e referendario storico in Campania negli anni ’90, ed attualmente vicesindaco di Morra de Sanctis e presidente regionale dell’Andi (Associazione nazionale dentisti italiani), ha voluto chiarire le ragioni di questa presa di posizione.
– Come giudica l’attuale situazione politica?
Il governo Conte si regge sull’intesa tra Pd e 5 Stelle che, al di là della crisi congiunturale economica e socio-sanitaria, riflette un accordo sulla legge elettorale sulla quale il centro sinistra ed i democratici in modo non omogeneo, tendono a superare la spinta populista grillina, a favore di un anti-cameralismo.
– Come sta reagendo la popolazione?
In questo scenario la gente è disorientata perché le ragioni del sì e del no si confrontano sul terreno costituzionale molto caro agli italiani, i quali hanno sempre respinto le modifiche alla carta costituzionale, riconoscendosi nei valori fondanti della Repubblica italiana. Aggiungo, poi, che gli italiani sono passati dal cercare risposte populiste nel pre-covid, a volere uno Stato che sia coeso e sappia affrontare le crisi e dare risposte chiare.
– Perché si è arrivati a queste scelte?
Perché sul voto in aula, riguardo al quesito referendario, il Pd, nell’ultima votazione, si è espresso in intesa con i 5 Stelle, in base ad un accordo politico, che ha trasformato i pentastellati da movimento antipolitico a forza parlamentare e di governo. Il problema che emerge è che il quesito referendario dovrebbe fare chiarezza, anche sul futuro politico del governo Conte.
Secondo lei qual è il vero problema?
Non è il numero di parlamentari il problema, ma la qualità dei rappresentanti che formano il parlamento.
– Sarebbe quindi auspicabile un ritorno del proporzionale con preferenze, eliminando le liste bloccate?
Il sistema quadro elettorale è incardinato sul maggioritario, che è stato letteralmente stravolto nei vari anni, arrivando ad un sistema misto di liste formate da designati, eletti secondo la fedeltà ai partiti e non alla volontà popolare. Il proporzionale potrebbe essere interessante, con una soglia di sbarramento atta a garantire anche la creazione di partiti medio-piccoli, costringendo i parlamentari eletti ad essere riferimento dei territori.
– Dovesse vincere il ‘sì’, l’Irpinia rischierebbe di non essere più rappresentata in parlamento?
Si, ma la risposta va motivata. La rappresentanza del senato, proporzionale su base regionale, sarebbe ridotta ma non annullata, quella della camera, invece, risponde alle logiche del decremento demografico, per cui le zone interne, per quanto estese, col tempo avranno sempre meno rappresentanti del territorio.
– I sostenitori del ‘sì’, però, puntano molto sul risparmio economico che ne deriverebbe.
Il risparmio è minimo. Se dobbiamo parlare di tagli allora facciamolo agli stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, equiparandoli proporzionalmente agli stipendi di funzionari dello Stato di medio-alto livello. Tutti, però, dovrebbero subire delle retribuzioni riviste al ribasso nelle alte sfere istituzionali. Se dovesse vincere il ‘sì’, l’unico dato positivo concreto possibile sarebbe la possibile riduzione degli iter parlamentari, ma anche su questo nutro qualche dubbio.
– Riassumendo, perché appoggia il ‘no’?
Perché non si tratta di un referendum contro la casta. La democrazia partecipata va preservata e rilanciata: non possiamo darle un prezzo. In più, con il ‘no’, come ho detto, si salvaguarderebbe la rappresentanza e la rappresentatività di interi territori. Il parlamento, luogo istituzionale dove ci sono tutte le componenti sociali e politiche, è un principio di garanzia rispetto al possibile esercizio arbitrario del potere pubblico, compreso quello del governo. Senza parlamento non c’è stato di diritto e sicuramente ridurre il numero dei suoi componenti non rafforza la democrazia, che ha una crisi qualitativa e non quantitativa.
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