Avellino e il tennis. Nazzaro: “Al Country cerchiamo di fare un lavoro di gruppo. Le professionalità sono importanti per chi vuole fare agonismo” – IL CIRIACO

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Continua il nostro viaggio all’interno delle attività che si occupano di portare avanti il movimento tennistico irpino. Tra queste si distingue sicuramente il Country Sport, che ha una grande struttura a disposizione e che si sta strutturando sempre di più per riuscire ad ottenere risultati sempre migliori.

Per capire come è organizzata la scuola tennis e quali sono gli obiettivi e i risultati, abbiamo intercettato Guido Nazzaro.

 

Ormai la vostra non è più una attività neonata, ma realtà del territorio. Come è strutturata?

“Il Country ha un’attività molto trasversale: abbiamo corsi per bambini dai 3 anni fino agli adulti. Ogni fascia d’età, dunque, ha la possibilità di apprendere il gioco del tennis. Poi chiaramente per ognuna di essa ci sono corsi specifici: ci sono bambini che a 8-10 anni iniziano e ci sono quelli che sono già pronti per l’agonistica. Frequentando è possibile migliorare e iniziare un’attività un po’ più impegnata e impegnativa. Tutto quello che riguarda la scuola tennis, però, coinvolge anche altre figure: il maestro, il preparatore, un professionista dell’area  mentale, un video analista, un nutrizionista e perfino un allenatore della visione (vision trainer), ovvero un allenatore dell’occhio, molto in voga in questo momento in NBA e al Manchester City. Quando si inizia con l’agonismo ci sono molte figure. Per fare il tennis ad un certo livello ce n’è bisogno”.

C’è dunque una grande attenzione al lavoro di gruppo.

“Noi abbiamo l’abitudine di non schedare un giocatore col proprio coach. Ogni agonista fa capo a tante figure specializzate e quindi i suoi risultati sono la sintesi di tutte queste competenze. Questa per noi è una grande differenza, perché parlare di uno staff e non di un maestro è una cosa diversa. La singola persona mette un mattoncino, ma è il lavoro di gruppo che ci aiuta ad arrivare al risultato. Infatti in questo momento abbiamo atleti bravi, specialmente negli under, che fanno una buona attività a livello nazionale. Dovendo fare due nomi direi a livello maschile Francesco Taccone, un 2002, e a livello femminile Maria Fiorita Romano, nata nel 2005”.

Ad Avellino, però, il tennis sembra avere meno successo tra i giovani rispetto ad altri sport come Basket e Calcio. Come mai?

 “Consideriamo che, a livello nazionale, in questo momento il dato sui tesserati ci dicono che il tennis è il secondo sport in Italia. Questo è già un buon riferimento, ma bisogna comunque tener conto che c’è una distinzione tra numero di praticanti e valore mediatico, oltre che tra valore dei successi. Il valore mediatico, per il quale la FIT sta lavorando con iniziative come Supertennis che hanno permesso di avere molto più tennis in TV, è più grande per il calcio, anche solo a livello di frequenza. Oggi il tennis, però, ha un buon numero di partecipanti e gli Internazionali di Roma sono la seconda attività più importante in Italia. Qui ad Avellino abbiamo un buon numero di partecipanti e anche buoni risultati. Tristemente devo portare ad esempio il settore giovanile del basket, che 15 anni fa funzionava molto meglio di oggi, eppure i praticanti sono aumentati”.

Non sarebbe il caso di creare un movimento unitario ad Avellino? Come mai non ci si riesce?

“Io posso rappresentare quello che è il nostro operato. Ad Avellino ci sono buone realtà che fanno tennis a livello agonistico. Noi cerchiamo di dialogare e collaborare con tutti, a partire dagli spostamenti. In questo momento a Vasto e a Chieti per i campionati italiani di terza categoria abbiamo una ragazza dell’Accademia tennis Salerno. Spesso, però, ci si deve anche scontrare con mentalità un po’ chiuse. Ripeto che io però posso parlare solo per noi, e devo dire che noi cerchiamo di essere più aperti possibile, anche perché chiudere un ragazzo nel circolo non lo aiuta. Anzi, aumentare le sinergie aiuta i ragazzi nello sviluppo”.

 

E con le realtà fuori provincia, invece, come funziona? Riuscite a creare sinergie?

“Noi non abbiamo nessun problema ad interagire con circoli fuori provincia. Quando presentiamo il progetto alle famiglia ad inizio anno, per noi è normale prefigurare dei confronti con realtà diverse, sia per migliorare nell’agonismo che per confrontarci dal punto di vista dei metodi e delle tecniche. Parlare con gli altri aiuta a migliorarsi. Da un punto di vista tecnico la Campania esprime buoni valori. Dal punto di vista organizzativo, invece, non so quanta visione comune ci sia. Non c’è da un punto di vista politico e sportivo un grosso coinvolgimento e noi, come Irpinia, lo paghiamo molto. Non so il motivo, ma noi come Country abbiamo grande appoggio dalla proprietà e riusciamo a creare le nostre cose in autonomia”.

Alla luce di questo, quale è il reale problema? Le strutture che mancano?

“Non bisogna fare confusione: avere una grande struttura, come noi ad esempio, è certamente un vantaggio, ma non è strettamente necessaria per fare un’attività buona. Quando alleno il mio agonista, io sono in campo solo con lui o al massimo con altri due giocatori. Il problema quindi non è avere tanti campi, ma avere le giuste figure. Chi ha una attività agonistica seria deve avere professionisti che possano dare la propria presenza quotidiana. Per fare questo è evidente che basta anche solo un circoletto. Ho visto realtà nel salernitano che hanno 4 campi ma sono ben organizzate e ben strutturate dal punto di vista delle competenze. La struttura è un valore, ma non è tutto. Avere più campi non significa essere più bravi”.

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