In occasione del quarantennale del terremoto si stanno susseguendo nei Comuni e a livello mediatico rievocazioni e celebrazioni. Inizia a farlo anche il blog, partendo da studi e analisi su quel che è avvenuto dopo il tragico 23 novembre: per riflettere , discutere e aggiungere al momento rievocativo ed emozionale analisi storiche e critiche che possano servire a non ripetere errori e, invece, a concorrere alla rinascita dei piccoli comuni dell’epicentro e del mezzogiorno con l’ utilizzo delle copiose risorse del recovery fund, dopo i gravi danni socio-economici della pandemia.
Deve essere l’occasione per liberare dalla retorica le fasi dell’emergenza e la legge 219, che, se ebbero il grande merito la prima nel costruire la “protezione civile” e la sinergia coi sindaci e la seconda per lo stanziamento di copiose risorse e l’approvazione dell’art. 32, da contro segnarono fortemente i futuri avvenimenti che avrebbero definito area terremotata anche Napoli e quattro Regioni con la conseguenziale dispersione di risorse e scandalismi che, per la facile strumentalizzazione politica e mediatica, vennero consegnati al cosiddetto “Irpiniagate”.
In questa ottica, essenziale è il recupero di testimonianze e ricerche che all’epoca hanno colto e denunziato difficoltà e criticità operative sia nel governo delle emergenze ma anche delle decisioni amministrative e legislative che hanno deviato interventi e flussi di danaro.
Documenteremo con i testi esemplari di Giovanni Russo, dell’Università di Portici e di altri e con le cronache giornalistiche dell’epoca le polemiche che accompagnarono l’insediamento a Napoli, piuttosto che nell’area epicentrale, del Commissariato per il terremoto che trovò compiacenti i salotti politici e i maggiori organi d’informazione napoletani e che avviò quel pernicioso percorso di travisamento dell’area del sisma, delle risorse e delle normative eccezionali. E non ci potrà sfuggire l’unanimismo consociativo che accompagnò l’approvazione della L. 219, che consacrò l’allargamento a dismisura dell’area terremotata e ricomprese i capitoli sui mali atavici di Napoli che la giunta Valenzi volle associati all’evento sismico.
Nel 1983 cogliemmo l’occasione del centenario della morte di Francesco De Sanctis per sostenere l’iniziativa regionale di una pregevole e pregiata pubblicazione (Di Mauro editore) per un aggiornato ripensamento su “De Sanctis e l’Irpinia” da parte di autorevoli studiosi quali il prof. Fulvio Tessitore, il prof. Giuseppe Acocella, e il prof. Luigi Mascilli Migliorini che trovò completamento nella riproposizione del viaggio elettorale, (arricchito di incisioni e stampe di artisti irpini dell’epoca e da un itinerario fotografico delle rovine e della tragedia del sisma) “la cui esperienza idealmente venne prolungata fino al confronto, spesso drammatico, con l’Irpinia di cent’anni dopo” ripercorsa dal qualificato contributo di due autorevoli giornalisti de Il Mattino, Antonio Aurigemma e Carlo Franco, che ancor di più oggi aiuta a capire quel che è stato il dopo terremoto nelle difficoltà e nei travisamenti dell’emergenza e delle prospettive future dell’Irpinia.
La ricorrenza, come ebbero a scrivere nel 1983 Franco e Aurigemma, ieri come oggi, non può essere solo ossequio a un rituale celebrativo, ma deve divenire “il tentativo di far rivivere quell’atmosfera di tensione politica, civile e morale, motivo conduttore dell’opera desanctisiana….per recuperare in termini giusti l’antica questione dell’Alta Irpinia, le terre dell’osso…” perché i paesi sono stati ricostruiti ma si spopolano e perché l’emigrazione, che le battaglie per lo sviluppo avevano rallentata, è ripresa in modo più lacerante in quanto coinvolge giovani diplomati e laureati.
Il quarantennale deve avere un significato sociale e politico per evitare nel 2020, nelle difficoltà aggravate dalla crisi pandemica, che si debba ripetere quel che i due coraggiosi giornalisti del Mattino’, ripercorrendo nel 1983 il viaggio desanctisiano ebbero a rilevare: “l’Irpinia è lontana, un altro mondo”. (Con gli autorevoli interventi di due qualificati giornalisti de Il Mattino, Antonio Aurigemma e Carlo Franco).
di Mario Sena