Il governatore non smentisce. Eppure la voce circola: ha già pronte le dimissioni. Attende solo l’approvazione della legge finanziaria che il consiglio regionale dovrà votare prima di Natale. Si voterebbe in primavera e non a gennaio 2026.
Il presidente potrebbe dimettersi per diverse ragioni. La prima: il centrodestra ha minacciato di impugnare la legge regionale sul terzo mandato. Se la Corte costituzionale dichiarasse la norma illegittima allora De Luca non potrebbe concedersi il tris.
Seconda motivazione: il governatore vuole giocare d’anticipo. Nessuno è pronto alle elezioni tranne lui, che una squadra ce l’ha, almeno per ora. Deve solo evitare che il rompete le righe. Al momento De Luca controlla l’apparato, gestisce saldamente la rete del sistema di potere regionale. E spariglia le carte, non ha rivali.
O meglio, forse uno ce l’ha e tanto vale accelerare per non dargli la possibilità di prepararsi. Si dice che il centrosinistra abbia individuato come candidato il magistrato Raffaele Cantone. Napoletano, nemico della camorra, magistrato che vive sotto scorta da vent’anni, cioè da quando si è scoperto che i Casalesi vogliono farlo fuori. E’ stato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, è oggi Procuratore della Repubblica a Perugia. È stato per quattro legislature consulente della Commissione parlamentare antimafia. Cantone non ha appartenenza politica, è un civico, un fulgido esempio di uomo delle istituzioni. De Luca lo teme, si dimette e prova a vincere subito mentre il centrodestra – che pure aveva pensato di candidare Cantone – non sa che fare.
Le dimissioni di De Luca potrebbero essere una mossa rischiosa ma vincente. Comunque i suoi fedelissimi smentiscono: “A noi il presidente ripete che ci sono ancora tante, troppe cose da fare, da completare, che abbiamo tanto da lavorare”. Ancora: “Le dimissioni sarebbero difficili da spiegare: il presidente dovrebbe ammettere che lo fa perché ha il pallino del terzo mandato. Impossibile si dimetta”.
E allora De Luca non si dimette. Il Pd media, trova un compromesso: la segretaria dem Elly Schlein si rimangia la parola e battezza De Luca candidato. Sarà perché il rapporto tra loro è cambiato, i pontieri sono riusciti nell’impresa. Bisogna vincere in Campania, a tutti i costi. Non si può vincere senza De Luca. E’ necessario unire tutti, o quasi. Per renziani, calendiani, centristi, civici va bene. Serve un campo larghissimo, senza confini, una frittura mista di sigle senza senso, però con un capo come De Luca. Lo è per retaggio, per carisma, perché controlla il sistema di potere. Schlein deve solo cointestarsi la vittoria, smussando gli angoli della sua integerrima idealità. Il governatore in attesa delle regionali avrà di nuovo in mano il Pd della Campania dopo aver vinto il congresso. Fantapolitica. E i 5stelle? Tutti in riga senza fiatare, scendono a compromessi, masticano amaro, ingoiano il rospo, soffrono il mal di pancia. E se no, amen. Vanno da soli.
Secondo scenario. De Luca non può essere il candidato perché è divisivo, perché è vecchio politicamente. Si fa da parte. E’ un pilastro della coalizione, ha una formidabile influenza e dà una mano al Pd. A Schlein. Piero junior viene nominato vice segretario del partito. E perché no? Il rampollo si è fatto le ossa, dopo che ha appoggiato Stefano Bonaccini, senza fanatismo, con intelligenza politica, mai una parola contro Schlein, può aspirare al ruolo di leader e sedere ai piani alti del Nazareno. De Luca si sacrifica non per il figlio, bensì per la causa nobile del centrosinistra unito. Un gesto stoico di generosità politica, da statista lungimirante e magnanimo. Nessuno se lo sarebbe aspettato. Il governatore per la prima volta sveste i panni del caudillo e indossa l’abito del padre nobile. E’ un uomo d’azione: sarà ministro, vice ministro, sottosegretario, consigliere regionale? Qualcosa farà, è una risorsa imprescindibile. De Luca ha fatto il meglio che poteva e parimenti ha gestito una sorta di sistema clientelare con senso delle istituzioni. Retorico, sopra le righe, ironico, ha amministrato più o meno bene. Alcune zone della Campania scontano ancora una miserabile condizione di arretratezza economica e sociale. Abbiamo fatto un miracolo, direbbe comunque lui.
Sarebbe diverso candidare un 5stelle. Di questi tempi, mentre l’assemblea “Nova” non scioglie i nodi nulla si può dire. Mettiamo che tutto si risolva pacificamente e senza stravolgimenti, che Giuseppe Conte sia ancora leader. Il patto con il Pd è assicurato – con Beppe Grillo sarebbe tutta un’altra storia -. Tra i papabili alla regione ci sono Sergio Costa, napoletano, vice presidente della Camera dei Deputati, ex ministro dell’ambiente nel Conte I e II, e Roberto Fico, napoletano, giovane, ex presidente della Camera. Dopotutto i 5stelle qualcuno alle regionali devono pur candidare a presidente. In Campania hanno ancora un discreto seguito. E’ l’unica regione dove avrebbero qualche chance. Chi glielo dice a De Luca? Candidare Fico o Costa sarebbe un modo per scomunicare il governatore, per mandarlo a casa, per spingerlo a correre da solo, per buttarlo fuori dal Pd. A costo di perdere.
Ma la politica è compromesso, oltre ogni limite. Il centrosinistra candida Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli dal 2021, da poco presidente nazionale dell’Anci. A Napoli ha fondato il campo largo. Manfredi è una figura che unisce, è uno dei volti nuovi delle politica. E’ del Pd, va d’accordo con i 5stelle, con la Sinistra. Ma poi a governare Napoli chi ci pensa? E all’Anci? Con Manfredi alle regionali verrebbe rispettato il prototipo del fronte progressista, del campo largo. Ci sarebbe posto anche per De Luca? Se non gli sta bene, va da solo.