Nel decennio di Serie A, la favola Avellino ha raccolto entusiasmo, affetto e consensi a tutti i livelli. Certamente tra gli appassionati, sensibili alla storia di riscatto sociale e eroismo sportivo messa in piedi dalla squadra biancoverde, ma anche tra gli addetti ai lavori. Un sentimento di stima e simpatia diffuso, fatto proprio anche da alcune delle firme più autorevoli del giornalismo sportivo dell’epoca. La più celebre è la citazione del grande Gianni Brera, un vanto per tutta la tifoseria biancoverde, ancora oggi ricordata con orgoglio. Quella del grande Gioanbrerafucarlo non fu però l’unica esaltazione del “modello Avellino” dell’epoca e oggi faremo un salto indietro alla scoperta di un’altra bella celebrazione del decennio biancoverde in Serie A.
Correva l’anno 1984. Dopo le cessioni di Favero e Limido alla Juventus, che passarono in bianconero per un totale di 5 miliardi, con grande sorpresa, l’Avellino riuscì ad iniziare il campionato senza subire alcun contraccolpo. Malgrado una profonda trasformazione dell’organico, e una ricostruzione avvenuta tra mille difficoltà, tra rifiuti dei calciatori (Prandelli e Selvaggi su tutti) e altre problematiche, a novembre la squadra biancoverde occupava una tranquilla posizione in classifica, addirittura a pari punti con la stessa Juventus. Un autentico capolavoro di gestione, che fu sottolineato e lodato addirittura dal grande Gianni Mura. Su “La Repubblica” l’autorevole giornalista celebrò con parole al miele il modus operandi dell’Avellino: “Il record di bravura spetta all’ Avellino, ovvero come intascare cinque miliardi e vivere tranquilli, con gli stessi punti della Juve. Merito di Angelillo, ma anche di Pierpaolo Marino, che ogni volta deve fare gli straordinari, perché molti giocatori non vogliono andare ad Avellino. Poi finisce che ci vanno, disputano un gran campionato (occhio a Colombo, oltre al già citatissimo De Napoli), restano in A e aspettano che chiami la Juve di turno”.
Rileggere oggi queste parole mette i brividi e dice tanto del “miracolo Avellino”. Un miracolo frutto in realtà di una gestione oculata, virtuosa, attuata sulla scia delle competenze calcistiche e dirigenziali. È altrettanto significativo leggere oggi le parole che lo stesso Pierpaolo Marino, all’epoca direttore generale dei lupi, usava per spiegare la strategia di mercato e, più in generale, la filosofia aziendale del club: “Abbiamo quattro osservatori, non chiedetemi i nomi, che vanno in giro ogni domenica per noi. Il campionato più importante è la serie B. Io ho una specie di abbonamento, mi faccio mandare anche le videocassette dei match più importanti. E’ chiaro, lì si vede un’altra partita: ma mi serve per un primo orientamento. E comunque ho pensato anche al vivaio. Altro che legge 91, i giovani non vanno abbandonati. Un Dell’ Anno nato da queste parti non finirà più alla Lazio. I ragazzi che nascono qui, qui devono restare. Lo straniero me lo consigliò proprio Juary: Barbadillo è costato 800 mila dollari, come rendimento non ha eguali in serie A. In rapporto al prezzo, naturalmente”. Un modello aziendale chiaro, preciso, vincente. E che ricorda, seppur in lontananza per le innumerevoli differenze storiche, quello che fa oggi l’Udinese di Marino in un contesto globalizzato.
Erano gli anni d’oro dell’Avellino. Anni costruiti con il duro lavoro, ma anche con passione e competenza.