Agofobia: come superare la paura degli aghi

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Prelievi ematici, terapie endovenose e vaccinazioni possono diventare un incubo per chi soffre di agofobia (detta anche belonefobia o aichmofobia), cioè la paura degli aghi, che sembra interessare una persona su dieci nel mondo. Questo disagio può manifestarsi sotto varie forme: «C’è chi teme l’ago per il dolore che può comportare il fatto di bucare la pelle e c’è chi immagina scenari catastrofici su eventuali danni che ne possono derivare, come perdere coscienza, rimanere senza forze, rischiare la morte o rimanere con il braccio ferito, menomato oppure invalidato», spiega Sara Sblendorio, infermiera esperta in Terapie complementari e comunicazione ipnotica a Torino. «Si tratta ovviamente di paure irrazionali, ma capaci di indurre negli agofobici una reazione istintiva che li porta a evitare iniezioni e siringhe per salvarsi la vita».

Che cos’è l’agofobia

Mentre ad alcune persone basta “non guardare”, altre vivono prelievi e iniezioni in maniera altamente critica, arrivando a manifestare sudorazione, tachicardia, tremore, pianti, fino allo svenimento. «Spesso, la paura degli aghi si allarga all’intero contesto sanitario, per cui gli agofobici entrano nel panico ogni volta in cui entrano in ospedale, vedono un camice bianco o mettono piede in un ambiente di cura», descrive l’esperta.

«Evitano quindi di mettersi in quelle condizioni, per cui eludono i controlli e finiscono per non fare la giusta prevenzione». Per assurdo, però, può capitare che non temano gli aghi in altri contesti, al punto che non è raro incontrare agofobici che sfoggiano diversi tatuaggi sul corpo: «L’ambiente può fare la differenza. Quando non è sanitario, ma viene associato a un aspetto ludico, estetico o di socialità, la paura svanisce. Talvolta, poi, anche un’iniezione può essere vissuta meglio se viene fatta a casa propria, da personale “in borghese” e senza camice».

Quali sono le cause dell’agofobia

In genere, l’agofobia ha un’origine traumatica, che può essere conscia oppure inconscia. «Nel primo caso, la persona ricorda un episodio spiacevole avvenuto durante l’infanzia, l’adolescenza oppure in età adulta, quando un prelievo o un’iniezione si sono rivelati particolarmente dolorosi o fastidiosi», racconta Sblendorio.

«Soprattutto da piccoli, la paura della classica puntura può facilmente trasformarsi nel timore di morire: durante l’iniezione, i bambini si sentono privati della protezione materna, “manipolati” da estranei, tenuti fermi contro la loro volontà e sottoposti a una vera e propria violenza, che non sanno cosa comporterà». Altre volte, invece, questa paura può essere tramandata geneticamente: per esempio, quando una futura mamma prova disagio durante un prelievo, il feto può avvertire questa paura, sotto forma di percezione cellulare, e rischia di ereditarla con un meccanismo che potrebbe influenzarlo per sempre.

Come si tratta l’agofobia

Non bisogna temere di ammettere la propria paura: al momento del prelievo o dell’iniezione, è bene comunicare il disagio avvertito al personale sanitario, che può mettere in atto (oppure suggerire)  strategie dedicate e personalizzate. «L’ideale sarebbe individuare un infermiere specializzato in comunicazione ipnotica, capace di utilizzare diversi strumenti, come rilassamento, attività di distrazione o tecniche ipnotiche, per aiutare l’agofobico ad affrontare l’esperienza in modo diverso», riferisce Sara Sblendorio.

«Il paziente può imparare ad auto-ipnotizzarsi, concentrandosi su sensazioni corporee o immagini mentali, e insieme apprendere dei trucchi per distrarsi durante la procedura sanitaria, come ascoltare musica, focalizzarsi sul respiro, guardare dei video o svolgere piccole attività, come aprire e chiudere la mano del braccio non coinvolto nel prelievo oppure contare alla rovescia».

Come si “guarisce”

Per superare definitivamente il problema, ci si può affidare a psicoterapeuti esperti in fobie che aiutano a “rivivere” l’esperienza originaria (quella che ha scatenato l’agofobia) in maniera diversa, permettendo al cervello di registrarla in maniera non traumatica, abbinandola magari a un elemento positivo, come un’immagine o una sensazione.

«Alcuni specialisti ricorrono all’EMDR, Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero alla Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari, una tecnica che lavora sull’inconscio per sbloccare una memoria non razionale», conclude Sblendorio. «In concreto, le sedute di EMDR sono in grado di accedere ai ricordi di esperienze traumatiche per elaborare quei ricordi e portarli a una risoluzione adattiva. Insomma, dall’agofobia si può guarire. Non disperiamo».

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