Per molto tempo abbiamo pensato che gli animali non avessero un’anima. Ora non solo sappiamo che gli animali sono in grado di provare dolore e piacere, ma hanno anche il senso dell’umorismo. Ce lo spiega Maria Elide Vanutelli, ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ha recentemente pubblicato uno studio su Neuroscience Letters proprio sull’argomento.
È vero che anche gli animali sanno ridere?
Quando parliamo di risata, umorismo e divertimento nel regno animale ovviamente non possiamo, ma soprattutto non dobbiamo, fare un parallelismo diretto con noi umani. Ogni scoperta e osservazione va ricondotta agli aspetti etologici di ciascuna specie, ossia alle caratteristiche, agli aspetti funzionali e filogenetici dei comportamenti che vengono messi in atto. Se ragioniamo sempre in termini umano-centrici, rischiamo sia di vedere fenomeni che in realtà non ci sono, sia di perderci alcuni aspetti importanti, semplicemente perché non fanno parte dei nostri comportamenti specie-specifici. Fatte queste premesse, sembra che la nostra risata abbia delle radici lontane comuni ad altre specie, e che vadano ricercate nel gioco: durante questa attività due o più individui mettono in atto dei comportamenti che servono ad allenare alcune competenze motorie e cognitive, rinunciando però alla pericolosità.
Ad esempio, nei giochi di lotta o di rincorsa, come l’“acchiapparella”, noi non stiamo veramente inseguendo, cacciando o minacciando le altre persone. Il nostro respiro affannato durante un’attività ludica, con il tempo, è diventato un segnale sociale, ossia abbiamo imparato a modularlo in contesti di interazione per comunicare al partner qualcosa come “guarda che non sono serio, sto solo giocando!” E questa “dichiarazione di pace” viene rinforzata anche tramite comportamenti non verbali come la mimica e la risata (che altro non è che un respiro affannato “evoluto”). Gli atteggiamenti sono drammatizzati, esagerati, come per esempio si comporta un adulto quando gioca con un bambino. Per gli animali accade la stessa cosa, e in particolare per i cani.
Come si esprime il senso del comico nei cani?
Una ricerca americana ha utilizzato la “risata” canina, ossia particolari vocalizzazioni di questa specie per alleviare lo stress dei cani ospiti all’interno di un rifugio. Come hanno fatto? Innanzitutto, hanno registrato degli spezzoni di “risate”, poi le hanno riprodotte all’interno del canile, in particolar modo all’arrivo dei nuovi ospiti. Il risultato è stata una riduzione significativa dei comportamenti legati allo stress dei quattrozampe, come l’eccesso di salivazione, un aumento della camminata irrequieta (avanti e indietro), la continua ricerca di fuga o il rannicchiarsi in un angolo. Queste vocalizzazioni, quindi, risultano essenziali non solo per alleviare il disagio degli animali in condizioni difficili ma anche perché diventano uno strumento efficace per favorire le competenze sociali di un cucciolo o un esemplare adulto traumatizzato, aiutandolo a riacquistare fiducia nelle interazioni sociali con i suoi simili e con gli umani, in modo da agevolare il processo di adozione. La conferma del fatto che esista una comunicazione “spiritosa” viene anche da chi lavora sul campo.
Come ha osservato Nicola Arada, educatore cinofilo e titolare di una pensione per cani (latanadelboarone.jimdofree.com), in un gruppo canino spesso sono presenti esemplari più socievoli e dotati di “umorismo” che si fanno carico, per esempio, di accogliere un nuovo arrivato. La mimica è la prima cosa che salta all’occhio. Osservandone la postura, possiamo notare la parte anteriore del corpo chinata a terra con le zampe allungate, il posteriore sollevato, la coda in movimento, una successione di piccoli abbai e latrati uniti a vocalizzazioni entusiastiche. E a quel punto è sufficiente che la “new entry” risponda in maniera anche solo vagamente positiva per far sì che il leader, l’attore principale, inizi a mostrare il suo repertorio di scherzi e “battute”. Immaginatevi una serata di cabaret: chi è sul palco deve scaldare la platea, quindi inizierà rendendosi simpatico, partiranno i primi sorrisi, le prime risate, e a fine serata il pubblico avrà mal di pancia dal ridere.
Così, sul campo da gioco tra cani, i “comici” iniziano piano piano, rendendosi buffi, mai minacciosi, ridicoli nei comportamenti, esagerando con le movenze come saltelli, zampettii e abbai, perché il repertorio che hanno a disposizione è vasto quanta l’esperienza che hanno accumulato socializzando. Vi sono comici dotati naturalmente, e altri che imparano la parte durante il viaggio; ricordiamoci sempre che i cani apprendono anche per imitazione. Più è eterogeneo il gruppo di gioco, maggiore è la diversità, e più completo sarà il divertimento. Il “capocomico” non provoca, ma invita; ha un compito delicato e a volte rischioso: se esagera con il nuovo arrivato può ottenere una reazione negativa: potrebbe irritarlo, spaventarlo, intimorirlo, spingendolo ad allontanarsi invece che a socializzare. Testando il neofita e la sua predisposizione, funge anche da cuscinetto per gli attriti iniziali, contribuendo a far sì che anche i membri già presenti (che nella fase iniziale assistono senza partecipare alla scena di gioco), abbiano le basi per una sana interazione.
Quali altri animali sono spiritosi?
Le specie estremamente sociali come i primati, i topi, i delfini e gli uccelli posseggono vocalizzazioni-risate durante la fase di gioco. E sono in grado di mettere in atto comportamenti umoristici. I topi per esempio, ridono per il solletico. Agli elefanti, invece, piace rincorrere altri animali. Inizialmente gli studiosi pensavano fossero comportamenti di difesa o legati alla predazione, ma poiché rincorrono anche specie che non costituiscono minimamente un pericolo per loro, è plausibile che lo facciano semplicemente perché si divertono.
Uccelli spiritosi
Ci sono tantissimi aneddoti divertenti sugli uccelli, e in particolari i corvidi, come corvi o gazze ladre. È risaputo quanto questi animali siano particolarmente intelligenti e abbiano un senso dello humor piuttosto sofisticato.
Un esempio è quello del giornalista del Scientific American John Horgan, quando racconta di come il suo corvo George abbia “messo nel sacco” tutta la famiglia. Un giorno, sentendo le urla di moglie e figlie in giardino, le trovò intrappolate nella grande gabbia dove il corvo era cresciuto da piccolo. Pensando a uno scherzo del volatile, liberò le prigioniere e le fece allontanare. Entrò nella gabbia e la lasciò socchiusa. In men che non si dica, George aveva chiuso il chiavistello con il becco.
La gorilla con il sense of humour
I primati sono veri e propri campioni di scherzi, come il famosissimo esempio della gorilla Koko, finita sotto i riflettori più volte per le sue spiccate abilità. Questo esemplare parlava la lingua dei segni (conosceva migliaia di parole!) e la utilizzava non solo per comunicare ma anche per creare sketch e battute umoristiche.
Rusciva a fare ridere tutti usando l’effetto sorpresa o l’incongruenza, per esempio utilizzando un oggetto nel modo sbagliato (il righello come fermaglio da mettere in testa), ma sapeva anche usare i doppi sensi e le metafore. Una volta le è stato chiesto cosa le venisse in mente con la parola “duro”. Koko rispose “sasso”, ma anche “lavoro”.