Autismo, quanto conta la genetica. Le carezze di luce

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La mappatura del genoma umano compie nuovi passi avanti e ora la scoperta di un nuovo gene responsabile dell’autismo contribuisce a fare luce sul disturbo dello spettro autistico. A individuare il gene mutato, il Caprin 1, è stato un team di ricercatori guidato dall’Università di Torino e dalla Città della Salute del capoluogo piemontese, in collaborazione con l’Università di Colonia in Germania.

Il suo ruolo nello sviluppo dell’autismo apre nuove strade in questo campo, proprio mentre dagli Stati Uniti arriva un’altra buona notizia. Grazie a una serie di studi condotti su topi, si è potuto osservare l’effetto benefico delle cosiddette “carezze di luce”, che rappresentano un primo passo verso nuove terapie che, passando dalla pelle, possono giovare a chi soffre di autismo, ma anche di ansia e depressione.

Lo studio italiano su un raro tipo di autismo

Lo studio internazionale, pubblicato sulla rivista Brain, arriva dopo 7 anni di ricerche e ha permesso di capire come la mutazione del gene Caprin 1 possa giocare un ruolo di primo piano nell’autismo. La sua alterazione, infatti, modifica a sua volta alcuni specifici meccanismi neuronali, concorrendo allo sviluppo di una rara forma del disturbo.

Le ricerche sono state condotte su 12 pazienti affetti da questo specifico tipo di disordine. Le prime analisi risalgono al 2015, nell’ambito del Progetto NeuroWes dell’ateneo di Torino in collaborazione con molti gruppi italiani e il Mount Sinai di New York. Lo scopo era capire quanto un gene mutato potesse essere responsabile della forma di autismo analizzata, che è caratterizzata da un ritardo del linguaggio, disabilità intellettiva, deficit di attenzione, iperattività e disturbo dello spettro autistico. La ricerca ha dimostrato che perdere una delle due copie di Caprin1 causa un’alterazione nella organizzazione e funzione dei neuroni, oltre a una diversa attività elettrica. Per far questo si è lavorato con nuove tecnologie di sequenziamento del Dna, per poi analizzare modelli di cellule neuronali in vitro, che hanno consentito di individuare il ‘comportamento’ del gene Carpin 1 alterato. Ma quanto conta la genetica nell’autismo?

Tante cause per un disturbo: dalla genetica all’ambiente

Secondo gli esperti, sarebbero oltre 1.000 i geni coinvolti nello sviluppo dell’autismo. Qual è il loro ruolo e soprattutto cosa porterà questa scoperta? «Certamente le ricerche genetiche, che si arricchiscono di sempre nuovi dati, costituiscono una delle basi per la comprensione dei fattori neurobiologici implicati nel disturbo. Dobbiamo sottolineare, però, che l’autismo è un disturbo complesso, per questo si preferisce il termine di “spettro autistico” che comprende quadri molto differenti tra loro sotto il profilo clinico. Alla base ci sono sì fattori genetici, quindi alterazioni del Dna, ma anche epigenetici, cioè mutazioni ereditabili che però non alterano la sequenza del DNA, e anche concause ambientali», spiega Carlo Giulio Lenti, già ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi di Milano.

«Le ricerche – prosegue l’esperto – stanno dando grandi risultati con indagini genetiche sempre più raffinate, che però vanno correlate in modo più specifico con la clinica, quindi con i casi concreti. Certo, l’obiettivo di ogni ricerca di base è quello di trovare una ricaduta terapeutica, come in questo caso. È importante chiarire, comunque, che non bisogna aspettarsi – almeno in tempi brevi – che queste ricerche porteranno a nuove possibilità di cura», spiega Lenti.

L’importanza delle carezze (di luce e non)

Un’altra ricerca, pubblicata sulla rivista Cell, potrebbe invece aprire la strada a nuove terapie mirate che passando dal contatto con la pelle, possano aiutare le persone che soffrono di ansia, depressione e appunto anche di autismo. In questo caso alcuni ricercatori americani della Columbia University hanno condotto analisi con l’optogenetica, cioè una tecnica molto innovativa che mira a indurre reazioni in una cellula nervosa, grazie a stimoli luminosi. In pratica, la luce permetterebbe di attivare o inibire un neurone. Nel caso specifico sono state realizzate alcune cellule Mrgprb4 geneticamente modificate su un campione di topi, che poi sono state “bersagliate” con una luce colorata blu.

Si è così scoperto che gli animali tendevano a flettere il dorso, assumendo una postura che solitamente indica una condizione di piacere. Questo porta a pensare che le “carezze” – in questo caso di luce – possono influenzare il comportamento anche in esseri umani e in particolare in chi soffre di autismo, ansia e depressione. La ricerca confermerebbe alcune indicazioni già note agli studiosi: «È indubbio che i fattori sociali, come la stimolazione attraverso tutti i canali sensoriali e l’accudimento precoce, facilitano il benessere psicologico e sono fattori ben noti sul piano psicoterapico e riabilitativo», spiega Lenti. Anche questo studio, quindi, concorre a fornire sempre nuove indicazioni a livello terapeutico nello studio dell’autismo nel quale le terapie oggi hanno un ampio margine di miglioramento: «L’intervento che oggi viene considerato cardine nell’autismo è di tipo cognitivo-comportamentale declinato in diverse tecniche di intervento (come Teacch, Denver, ecc.). I farmaci – conclude il neuropsichiatra infantile – sono un presidio utile quando coesistono problemi associati, tipo aggressività, angoscia, ecc.».

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