Riccardo Sica
Non è riempiendo le chiese di statue dei santi che si risvegliano nel popolo il culto e la devozione verso di essi. Il culto e la devozione per San Modestino, per esempio, è in decadenza in Irpinia nonostante siano state inserite recentemente nelle chiese altre statue del Santo ed altre sue immagini artistiche. Di San Modestino, patrono e protettore di Avellino, esiste già dal Seicento, nel Duomo, la splendida statua d’argento attribuita a Lorenzo Vaccaro. Essa fino a poco tempo fa bastava a mantenere viva e accesa la devozione dei fedeli al santo. Perché invece oggi quella devozione è in via di estinzione? C’è da chiedersi, allora: ma quella statua è anche oggi abbastanza conosciuta e fatta conoscere dal popolo come lo era ieri? La risposta, probabilmente negativa, potrebbe spiegare, forse, l’esigenza avvertita dalla diocesi della città capoluogo di costruire un’altra immagine più appariscente, moderna, in legno, del Santo Patrono, affidata alle mani degli artigiani di Ortisei (in merito al valore artistico di tale statua preferiamo non esprimerci).
La disattenzione dalla cultura e dall’arte in generale (l’una e l’altra pressochè ignorate se non proprio dimenticate e spesso mortificate anche da parte delle passate e recenti istituzioni pubbliche) soprattutto in quest’ ultimo mezzo secolo ha comportato l’allontanamento in massa dalla chiesa, a cominciare nelle singole parrocchie cittadine. Occorre, perciò, oggi più che mai, proprio nel generale panorama dello smarrimento dei valori anche più basilari, conoscere e far conoscere anche presso il grosso pubblico, attraverso iniziative ed interventi pubblici e privati, la storia e le opere d’arte che sono nelle chiese di Avellino. Esse fino a qualche tempo fa (ed ancora oggi), rimanendo nel più buio anonimato, non essendo state ancora attribuite ai legittimi autori e non ancora conosciute adeguatamente, non erano neppure apprezzate come meritano nel loro valore e nel loro significato più intrinseco. E si sa che non si apprezza, nè si difende, nè si divulga ciò che non si conosce. Spesso citate soltanto – e talora erroneamente- dagli antichi storici locali, solo recentemente le opere d’arte nelle chiese avellinesi sono state studiate sul piano scientifico, attribuite e studiate – anche da parte di chi scrive – attraverso libri, articoli su riviste e giornali. I numerosi scritti di Francesco Barra, Armando Montefusco, Andrea Massaro, Gerardo Pescatori, Pino Bartoli, del sottoscritto e di altri, lo testimoniano coi loro numerosi scritti. La folla di fedeli interessati che hanno partecipato sino a 7-8 anni fa con interesse alla presentazione ufficiale di qualche libro d’arte del sottoscritto dedicato alle chiese avellinesi è stata costituita quasi sempre esclusivamente da ex allievi divenuti insegnanti, avvocati, dottori, medici, dirigenti di amministrazioni pubbliche: sono ancora essi , ma solo essi, a mantenere accesa – per fortuna – la fiaccola della fede e della devozione religiosa in città. Come abbiamo fatto noi con l’insegnamento nelle scuole e coi libri scritti, sono gli stessi parroci a doversi impegnare ora di più per diffondere adeguatamente i risultati degli studi compiuti presso la massa dei fedeli. Per risvegliare la fede bisogna far conoscere il più ampiamente ed approfonditamente possibile i risultati delle scoperte degli studi compiuti e far conoscere la realtà storico-artistica del proprio territorio. Ormai, grazie proprio agli studi fatti, della storia e delle opere d’arte esistenti nelle varie chiese della città, si conosce quasi tutto (vita e miracoli, autori, tecnica, stile, iconografia, devozione, etc). La storia dell’arte coincide con la storia delle chiese e della devozione in Irpinia. L’attuale disaffezione del popolo dalla vita religiosa della chiesa, l’affievolimento della devozione dei fedeli presso le parrocchie, si spiega anche per la persistente quasi generale ignoranza del valore e dell’efficacia educativa, formativa, oltre che contemplativa e spirituale, che tali opere rivestono e svolgono. Presso le parrocchie, nelle singole chiese cittadine, occorre che le comunità religiose (in primis le associazioni ufficiali dei beni culturali, artistici ed ecclesiastici della diocesi) apprendano, conoscano, studino e facciano conoscere queste pubblicazioni edite, evitando che esse rimangano ancora chiuse nei libri e nei giornali nelle biblioteche pubbliche.
La storia della Chiesa e delle arti locali deve essere spiegata ai fedeli, a cominciare proprio da dentro la parrocchia (dove si devono organizzare incontri, conferenze, dibattiti, scambi culturali, etc.). Solo così il pubblico, il popolo, riappropriandosi della conoscenza della storia e dell’arte della propria realtà territoriale, si saprà riappropriare anche del culto, del fervore religioso, devozionale, della fede che hanno sempre caratterizzato nei secoli passati la diocesi di Avellino. Devono rinascere, rianimarsi gli “oratori” d’una volta, autentiche palestre di formazione soprattutto dei giovani, nuclei di comunità sana, onesta, attiva e, ciò che più conta, feconda di messaggi da raccogliere e da divulgare.
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