“La democrazia deve essere fondata sul popolo. E’ proprio la mancanza del rapporto tra politica e vita la principale causa dell’astensionismo”. E’ Antonio Bassolino a sottolinearlo nel corso del confronto sul volume di Luigi Anzalone “Ricordi” al de la Ville, nel ricordo del filosofo Giuliano Minichiello e della lezione di Enrico Berlinguer. A discutere del volume in un incontro, presieduto da Gianni Festa, insieme a Bassolino e all’autore il funzionario del Senato Agostino Minichiello, la scrittrice Emanuela Sica, il preside e filosofo Giovanni Sasso, il medico Lorenzo Colucci “Non dobbiamo chiuderci nel passato – spiega Bassolino – poichè non c’è futuro senza memoria, la politica di oggi lo dimentica troppo velocemente, anche dopo le ultime elezioni, si gira pagina senza lo spazio di una riflessione. In passato bastava che il partito perdesse pochi punti per avviare una discussione”. Ribadisce come “la politica non puà prescindere dal rapporto col popolo. Ecco perchè il mio augurio è che il campo del centrosinistra, invece, di sottrarre voti gli uni agli altri, cominci una gara a chi recupera voti nelle file di chi ha scelto l’astensione”. Ricorda il legame forte con Berlinguer “Quando è morto è finito il Pci, poichè lui era capace di tenere insieme un mondo fatto di contraddizioni. Per lui era fondamentale il rapporto umano, capitava che discutessimo quando si parlava del rapporto dell’Unione Sovietica, io continuavo a ripetere che dovevamo mettere fine a quel rapporto, lui mi zittì ricordandomi che il mondo era diviso in due blocchi. Poco dopo mi prese sotto braccio e mi offrì un caffè”. “Berlinguer non superò mai un certo limite all’interno del partito poichè non voleva dividere il voto delle masse popolari. Era un universo in cui esisteva la dialettica”. Tanti gli aneddoti dal confronto con l’ideologo russo, a proposito di un’intervista di Berlinguer nel quale diceva che si sentiva più tranquillo nei giorni del sisma ala solidarietà Enrico nei difficili giorni del sisma del 1980 “Quella notte mi precipitai in Irpinia, dove ero stato segretario del partio, insieme ai giornalisti Vito Faenza e Rocco Di Blasi, trovammo chiusa l’autostrada e passammo per Contursi, da Calabritto a Caposele, da Lioni a Sant’Angelo, tra case diroccate e macerie. Allora chiamai Enrico e gli dissi che la situazione era molto più terribile di quanto dicessero i telegiornali. Berlinguer non ci pensò più volte e telefonò a Pertini per dirgli come stavano le cose. Poco dopo arrivò il titolo del Mattino ‘Fate presto’ e Pertini venne in visita in Irpinia. Anche Berlinguer volle visitare i paesi d’Irpinia feriti a morte, ricordo che passava tra le donne con i bracieri, lo sguardo di queste donne che si rivolgevano a lui come fosse Cristo”. Sottolinea come “Una delle grandi qualità di Enrico era la sua attitudine nei confronti dei temi legati alla politica internazionale, uno sguardo che dipendeva dal suo essere sardo. Per lui al di là del mare c’erano l’Italia e il resto del mondo. Del resto venivamo educati, quando andavamo anche nella sezione più piccola, a partire dai fatti internazionali per poi arrivare al locale. La sua idea di compromesso storico era in fondo una riproposizione del discorso di Togliatti con cui aveva rifondato il Pci come forza democratica”. Ricorda di essere stato un uomo delle istituzioni poichè era stato un uomo di partito “Non esitai un attimo a rinunciare alla mia carica di consigliere regionale per entrare nel comitato centrale del partito”. E spiega il legame forte con Avellino “Quando arrivo ad Avellino scattano i ricordi. Questo libro è dedicato a tante persone che hanno fatto parte della mia vita, da Minichiello, una delle teste più fini che abbia mai conosciuto a Federico Biond e Italo Freda con i uali erano tantissime le discussioni nella sezione Gramsci”
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