Carcere, Ciambriello: tante le criticità ma sbagliato mettere etichette. Esistono anche buone prassi. Romano: Bellizzi, riportare il personale all’interno dell’istituto

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“Sbagliato etichettare questo o quell’altro istituto penitenziario. Nessuno può permettersi di dire che quello di Bellizzi è il peggiore carcere d’Italia. L’universo carcerario è complesso e variegato. In Campania c’è il più alto numero di diplomati con progetti di riabilitazione promossi dalla Regione. Bisognerebbe valorizzare anche le buone pratiche che pure caratterizzano gli istituti penitenziari”. Lo sottolinea il Garante dei detenuti della Regione Campania Samuele Ciambriello nel corso del confronto dedicato al libro di Antonio Sauchella “Alba di carta. Memoria di una prigionia”, presentato questo pomeriggio al Circolo della stampa. “E’ vero – prosegue Ciambriello – che in Campania ci sono quindici istituti penitenziari in cui sono stati trovati cellulari e droga con detenuti accusati di spaccio ma in questo caso parliamo di responsabilità personali da parte di chi infrange la legge, ora nel caso degli stessi detenuti, ora nel caso del personale penitenziario. Al tempo stesso si sta facendo un lavoro enorme nelle carceri della Campania. Un lavoro che deve, però, tenere conto della forte carenza di personale, di 4450 agenti 700 non vanno a lavoro. E sappiamo bene che se mancano in un istituto dai 10 ai 15 agenti gli istituti penitenziari sono impossibili  da gestire. Senza dimenticare il problema legato ai detenuti con problemi psichici, spesso autori di aggressioni ed atti di violenza. Facciamo fatica a trovare psichiatri nelle carceri”.

Un problema, quello legato alla carenza di personale, sottolineato anche dal nuovo direttore del Carcere di Bellizzi Rita Romano, costretta a fare i conti con una settimana di fuoco all’interno dell’istituto penitenziario “E’ chiaro – ribadisce – che un intervento estemporaneo di pochi giorni non è sufficiente per risolvere i problemi della struttura carceraria. La sfida, in questa battaglia, è riportare il personale all’interno del Carcere, così da garantire condizioni di vivibilità e legalità, oggi messe in discussione. Dobbiamo fare i conti con una diaspora del personale per ragioni dfferenti, dalla malattia a turni stressanti e operatori anziani sul piano anagrafico ma man mano, questo personale rientrerà e riusciremo ad affrontare i problemi. Non serve a nulla scappare. C’è bisogno di una rivoluzione culturale che vogliamo portare avanti. In questa prima settimana mi sono guardata intorno per cominciare a mettere a punto un piano di intervento per riorganizzare l’istituto”. Dopo l’arresto del medico, accusato di portare droga in carcere “il personale sanitario è stato rientegrato di una unità. E’ chiaro che sono episodi che non vorremmo mai che si verificassero”. E sottolinea come “Il carcere è un universo non diverso dalla società in cui viviamo. Non mi sorprendono gli episodi di violenza, nè che si possa ricadere nella tentazione di delinquere e tornare tra le sbarre. Ma è chiaro che se vogliamo dare un senso al tempo trascorso tra le sbarre dobbiamo garantire il benessere psicofisico dei detenuti. Da questo punto di vista anche il lavoro è importantissimo per riscattarsi. Io parte sempre dall’idea che dobbiamo tentare l’impossibile”

Toccante la testimonianza di Antonio Sauchella, originario di Torrecuso, in provincia di Benevento che consegna nel libro la sua storia di ex detenuto che ha trovato nel lavoro e nella famiglia le ragioni per rinascere. ” Questo libro – spiega – nasce dalla sofferenza, dalla volontà di portare la mia esperienza alle giovani generazioni. Oggi sono un operatore sanitario che si occupa di ragazzi con disagio, usciti dal tunnel della droga. Nelle loro storie mi specchio ogni giorno. Ho abbracciato strade sbagliate nel tentativo di ribellarmi a mio padre, in una famiglia di 7 figli e ho pagato un prezzo altissimo. Ho scontato 14 mesi a Montpellier, in un carcere in cui nessuno parlava italiano ma la mia forza è stata quella di cominciare a lavorare.  Ero stato arrestato per traffico di droga in Francia. Sarei potuto rimanere lì perchè ho cominciato presto a lavorare come magazziniere. Poi, il trasferimento a Rebibbia e infine a Poggioreale. Ho dovuto sostenere più ricorsi in Cassazione contro una pena che mi appariva ingiusta. E ancora oggi non riesco a riottenere la patente, con gravi disagi negli spostamenti. Le difficoltà sono continuate anche una volta uscito dal carcere, mi era stato imposto l’obbligo di dimora fuori dalla provincia di Benevento. Devo ringraziare Donato De Marco del consorzio ‘Sale della terra’ che mi ha aiutato a trovare una sistemazione nella cooperativa di Roccbascerana”. Spiega come “Senza la mia famiglia non ce l’avrei fatta, quando ero in carcere avvertivo un forte senso di colpa nei confronti di mia moglie e dei miei figli per averli lasciati soli. Poi ho scoperto la fede, mi sono convertito all’Islam ed è stato importantissimo per me. Ho capito che dovevo scegliere il bene”

Tante le testimonianze come quella di Mirella Napodano, dirigente scolastica che ha portato nel carcere la propria esperienza di docente con dei laboratori di filosofia dialogica “La risposta è stata ottima. Le persone che soffrono sono particolarmente sensibili e creative. Inoltre, dare la possibilità ai detenuti di ragionare è un modo per farli evadere, per far toccare con mano il valore della libertà. Viene riconosciuta la loro dignità, si sentono uomini al pari degli altri”. E ricorda la difficoltà di gestire una scuola carceraria “Tante erano le criticità, dalla carenza delle strutture alla mancanza di guardie carcerarie”

A partecipare al dibattito, moderato da Katiuscia Guarino, Giovanna Perna, dell’Osservatorio provinciale dei detenuti, Giuseppe Silvestri dell’Unpli provinciale e Tony Lucido, alla guida dell’Unpli regionale.

 


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