Il nome ricorda quello del famoso poeta greco, tradizionalmente considerato l’autore dell’Iliade e dell’Odissea. Ma l’accento cade sulla o iniziale (òmero) per l’osso che va dalla spalla al gomito, mentre va posto sulla e (Omèro) nel caso del poeta. Al di là delle somiglianze grafiche, l’omero, l’osso più lungo del braccio può “rompersi”, come il resto dello scheletro.
«Di solito accade a seguito di cadute, incidenti stradali o infortuni subiti durante la pratica di alcuni sport, come lo sci», spiega il dottor Gianni Nucci, responsabile dell’Unità operativa di Ortopedia e Traumatologia presso il Santa Rita Hospital di Montecatini Terme, Pistoia. «Più raramente, invece, le fratture sono la conseguenza di una condizione patologica, come un tumore che indebolisce l’osso».
Che cos’è l’omero
Mentre l’avambraccio (il segmento compreso tra gomito e polso) è formato da due elementi ossei – radio e ulna – che decorrono parallelamente l’uno rispetto all’altro, l’omero è l’unico osso del braccio. «È composto da un corpo, detto diafisi, e due estremità, dette epifisi», descrive il dottor Nucci. «L’epifisi distale, quella adiacente al gomito, ricorda una paletta dalla forma complicata, su cui radio e ulna si muovono per consentire la flessione, l’estensione ma anche la rotazione dell’avambraccio sul braccio e, di conseguenza, la pronosupinazione della mano, ovvero il movimento che consente di portare il palmo verso l’alto o verso il basso».
L’epifisi prossimale, invece, è una sorta di semisfera che si articola con la glena, una porzione concava della spalla. «L’anatomia potrebbe ricordare quella dell’anca, ma ci sono grosse differenze: mentre l’anca si inserisce in una cavità profonda come una coppa, la glena è piuttosto piccola e piatta, per cui non accoglie quasi per niente la testa dell’omero. Sono muscoli, tendini e legamenti a trattenere in sede l’epifisi prossimale, consentendone il movimento», precisa l’esperto.
Perché l’omero si può fratturare
Di solito, le fratture dell’omero sono causate da traumi diretti (come cadute, urti, incidenti o torsioni sul braccio) oppure indiretti (come una caduta sulla mano a braccio teso). La particolarità sta nella stretta correlazione fra età del paziente e sede della rottura.
«Tipicamente, la testa dell’omero si frattura nei soggetti anziani in cui è presente fragilità ossea dovuta all’osteoporosi, mentre la diafisi è più soggetta ai traumi che avvengono nell’età adulta, come una caduta dalla moto», racconta il dottor Nucci. «Infine, la paletta omerale si “rompe” più facilmente nei bambini, che spesso cadono sulle mani a braccia tese. Peraltro, ciascuna di queste tre parti ha problematiche diverse, ma anche trattamenti e tempi di recupero differenti».
La situazione cambia ulteriormente a seconda che la frattura sia composta o scomposta: nel primo caso, l’intensità del trauma non è stata così forte da continuare anche dopo essersi scaricata nel punto di rottura oppure non ci sono muscoli forti che possano spostare i pezzi tra loro; nella seconda, invece, la forza del trauma riesce a spostare i frammenti di osso oppure la frattura si verifica in punti dove grossi muscoli si inseriscono e possono allontanare la parte di osso ormai mobile.
«Più si perde la normale anatomia di un segmento osseo, più è complicato ricomporlo e maggiori saranno gli esiti negativi che ne deriveranno anche a lungo termine, come la rigidità, il dolore o un consumo anomalo dell’articolazione».
Quali sono i sintomi della frattura dell’omero
Anche se i sintomi variano in base al tipo di frattura, dopo una caduta, un incidente o un trauma bisogna sospettare un interessamento dell’omero se compaiono dolore al braccio, eventuali deformità del normale profilo anatomico e limitazione dei movimenti: per esempio, non riusciamo a sollevare la spalla, a piegare il gomito, a compiere la pronosupinazione della mano.
Come si arriva alla diagnosi di frattura dell’omero
Una radiografia del braccio è fondamentale per determinare la posizione, il tipo di frattura e il miglior trattamento. Talvolta si possono aggiungere una Tac, utile soprattutto nelle fratture pluriframmentarie (quando l’osso si è fratturato in molti frammenti), e una risonanza magnetica (che consente di indagare anche lo stato dei tessuti molli e, quindi, di osservare l’eventuale presenza di lesioni associate a muscoli o legamenti).
A quel punto, il medico può refertare la frattura descrivendone le caratteristiche oppure utilizzando una particolare classificazione, detta AO e proposta da un comitato internazionale di chirurghi ortopedici specializzati nel trattamento delle patologie traumatiche dello scheletro, che combina numeri e lettere per definire localizzazione della frattura, caratteristiche radiografiche e meccanismo traumatico.
Come si cura la frattura dell’omero
La frattura dell’omero va trattata tenendo conto della localizzazione del trauma, delle sue caratteristiche, delle condizioni dei tessuti molli circostanti, dell’età del paziente e di un’eventuale patologia intrinseca dell’osso (come l’osteoporosi) che possa influenzare l’esito del trattamento.
«Nelle situazioni più semplici è sufficiente un trattamento conservativo, che prevede l’immobilizzazione del braccio tramite tutore o apparecchio gessato per almeno 4 settimane, a cui deve seguire un programma di riabilitazione specifico che associa esercizi di fisioterapia, terapia manuale e strumentale», evidenzia il dottor Nucci.
«Nei casi più complessi, invece, bisogna ricorrere alla chirurgia per impiantare placche ortopediche, viti, fili d’acciaio o, addirittura, protesi, soprattutto quando è coinvolta la spalla». Per quest’ultima è stata studiata la cosiddetta protesi inversa che, come suggerisce il nome, funziona al contrario rispetto alla normale anatomia: anziché presentare la semisfera sull’omero e una cavità concava sulla glena, è composta all’inverso. «Questo permette di compensare la carenza funzionale dei tendini della cuffia dei rotatori con il muscolo deltoide, che ricopre esternamente la parte laterale dell’articolazione della spalla».
In quanto tempo si guarisce dalla frattura dell’omero
I tempi di recupero sono variabili, ma generalmente occorrono alcuni mesi per arrivare a una guarigione completa e definitiva. «Questa non è sempre possibile», ammette l’esperto. «Per esempio, la diafisi guarisce “male” perché produce con più difficoltà tessuto osseo nuovo per sua natura, per cui non è così infrequente la pseudoartrosi, ovvero la mancata consolidazione di una frattura a distanza di mesi dall’evento traumatico».
A quel punto può essere necessario intervenire di nuovo chirurgicamente anche con l’aiuto di trapianti ossei o con magnetoterapia e onde d’urto per risvegliare il naturale processo di guarigione. «Anche la paletta omerale ha le sue criticità, perché il gomito può restare rigido anche dopo la guarigione e vedere ridotta la sua capacità di movimento, che normalmente va da 140 gradi di flessione a 0 gradi in estensione», conclude il dottor Nucci.
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