Di Guido Bossa
“Non pensino di farmi fare la fine di Berlusconi”. Questo commento indispettito attribuito alla presidente del Consiglio, sotto assedio per una serie di disavventure giudiziarie che si sono abbattute su personalità del suo governo o delle istituzioni, evidenzia un’obiettiva difficoltà nel percorso della maggioranza, ma mette in luce anche una differenza di fondo, una diversa declinazione del conflitto fra politica e magistratura che è ormai un dato caratteristico della storia italiana nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica fino al nuovo orizzonte disegnato dalla vittoria della destra alle elezioni del settembre scorso. Fino a ieri, si può dire, al centro dello scontro c’era il gigantesco conflitto d’interesse del fondatore di Forza Italia che era riuscito ad esercitare una egemonia nella sua coalizione anche dopo averne perso la guida. I partiti alleati, il governo, lo stesso parlamento (si pensi alle numerose leggi ad personam o al voto su Ruby nipote di Mubarak) si sono via via messi al servizio del Capo per proteggerlo dall’assedio dei giudici mettendolo al sicuro dalle inchieste aperte dalle procure di mezza Italia ma consentendogli, grazie al loro sacrificio, di svolgere almeno a livello delle enunciazioni la sua politica, con iniziative magari destinate a restare senza sbocco ma comunque mediaticamente efficaci. Con Giorgia Meloni le parti si sono invertite, dato che in capo alla presidente del Consiglio non c’è alcuna condizione oggettiva che ne possa minare l’imparzialità. Al massimo le si può rimproverare una gestione di tipo familistico nella gestione del partito, resa più evidente dopo il successo elettorale, che però non incide se non marginalmente sulla conduzione del governo. E tuttavia il moltiplicarsi di “incidenti di percorso”, dal caso Santanchè a quelli dei sottosegretari Del Mastro e Sgarbi, fino al presidente del Senato La Russa, oltre ad evidenziare una carenza di cultura istituzionale nei protagonisti, chiama in causa la responsabilità politica al più alto livello determinando un blocco evidente dell’iniziativa dell’esecutivo. Si assiste così all’eclissi del programma di governo presentato agli italiani con l’ambizioso proposito di dar vita ad una svolta conservatrice di lungo respiro, capace di proiettarsi anche oltre i confini della legislatura appena iniziata, grazie alla perdurante debolezza delle opposizioni. Questa debolezza resta, ma la maggioranza parlamentare, nella quale il partito di Giorgia Meloni è egemone, non riesce ad approfittarne restando impigliata nelle polemiche suscitate da improvvide iniziative di singoli ministri o sottosegretari. Insomma, un conflitto diverso da quello cui siamo stati abituati per anni: con al centro non più gli interessi materiali di Berlusconi ma il forte divario fra le ambizioni politiche da una parte e la mediocre qualità del personale chiamato a tradurle in realtà. Così la rivoluzione politica promessa dal governo di destra non è neppure iniziata. Un nodo che Giorgia Meloni dovrà cercare di sciogliere quanto prima.
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