Di Gianni Festa
Era tutto pronto per la grande festa, i balconi con il tricolore a sventolare, le trombette per accompagnare la vittoria degli azzurri, gruppi di tifosi organizzati con tavole imbandite, ragazzini che indossavano le maglie dei loro beniamini, da Chiesa a Barella e così via. Tutti con la testa in Tv aspettando il passaggio della nazionale di calcio ai quarti di finale, mentre il silenzio calava per le strade della città e dei paesi. In Italia come in Irpinia. Nessuno, proprio nessuno, aveva previsto la disfatta che sarebbe maturata al fischio di fine partita. Arriva, invece la doccia fredda e giù commenti e qualche titolo di apertura dei giornali come quello di Libero: “Andate a zappare”. D’un tratto competenti di calcio e non si improvvisano allenatori, distribuendo le responsabilità all’uno e all’altro. Qualcuno resta con il boccone in gola e l’anguria pronta per la festa rotola tra le sedie che mestamente vengono abbandonate. E poi le grandi emozioni: la rabbia, le lacrime e qualche bestemmia di troppo. Scene viste e commentate in un giorno in cui alla speranza si è sostituita la certezza che in campo c’erano solo brocchi, ben pagati, stanchi e demotivati, già pronti per le vacanze d’oro. Povera Italia della pelota con i suoi trascorsi di successi di coloro che si vantavano di indossare quell’azzurro su cui spiccava lo scudetto tricolore. In realtà tutto questo ha, tra le tante, una spiegazione precisa. In sintesi si traduce così: c’era una volta la nazionale italiana, c’era una volta il calcio. Quella passione capace di aggregare migliaia di persone negli stadi per difendere i colori della propria squadra, oggi è solo un business, tra i più immorali presenti nella nostra società. Il mercato ha stravolto l’identità, difficile trovare un buon calciatore italiano nella folla immensa di campioni stranieri, pagati a suon di milioni. La selezione per l’aggiudicazione dello scudetto avviene in base al portafogli ed è ristretta sempre tra pochi club, sempre gli stessi, salvo che San Gennaro non ci metta lo zampino. E come se non fosse sufficiente ogni tanto arriva uno scandalo per il calcio-scommesse, per le partite truccate, per la disonestà di qualche giocatore che infila il pallone nella propria porta perché così guadagna un bel gruzzolo di danaro sporco. E che dire del tifo. E’ l’undicesimo in campo, che condiziona a suon di biglietti omaggio, di minacce ai presidenti, quella che dovrebbe essere la tranquillità di un club. Oggi che siamo travolti dalla mania riformistica in politica, sarebbe interessante immaginare che quella del sistema calcio è una riforma non più rinviabile. Nel segno della legalità, dello sport, con il ritorno al degubertanesimo, con vivai che selezionino i migliori tra i ragazzi italiani. Sarebbe un gran bel sogno immaginare che l’Italia calcistica sia quella dei ragazzi italiani (di ogni etnia) orgogliosi della maglia che indossano. Non come oggi: povera Italia.