Punto vita? Non pervenuto, causa forti perturbazioni della bilancia. Il sovrappeso, che da qualche anno ti ha cucito addosso un profilo “a mela” (la silhouette ad anfora è un lontano ricordo) non ha solo dei risvolti estetici ma impatta negativamente sulla tua salute. E il medico di base non perde occasione di ricordarti che hai troppi zuccheri e grassi nel sangue. Colesterolo e trigliceridi sono out, mentre la glicemia è ai limiti superiori della norma: un passo falso e ti ritrovi l’asterisco anche lì, a fianco dei valori ideali. Probabilmente soffri di sindrome metabolica (MS), una pandemia silenziosa che interessa oltre dieci milioni di italiani e che è caratterizzata da cinque fattori: colesterolo e trigliceridi alti, glicemia a digiuno elevata, girovita uguale o superiore ai 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna (indice di obesità viscerale) e tendenza all’ipertensione arteriosa.
Basta la compresenza di almeno tre di questi cinque fattori di rischio che scatta la diagnosi di sindrome metabolica (che può portare a infarto, ictus, diabete e non solo). Vuoi sapere come rimettere il metabolismo in carreggiata e avere valori del sangue normali? Segui le indicazioni del dottor Luigi Coppola, master internazionale in nutrizione e dietetica applicata ed esperto di medicine complementari a Benevento.
Dottor Coppola, perché la sindrome metabolica è così diffusa ai giorni nostri?
Perché è una malattia sistemica, un insieme di sintomi favoriti dall’obesità (15% della popolazione italiana) e dal sovrappeso (38%): mangiamo troppo e male, come ha rilevato l’ultimo Italian Barometer Obesity Report. E l’attività fisica non è mai abbastanza. La sindrome metabolica è quindi dovuta al lifestyle, il mantenimento di stili di vita scorretti a partire dalla dieta. Alcune persone stanno attente alle calorie, ma poche si interrogano su quale sia la funzione metabolica del cibo che si apprestano a ingerire, il viaggio che sta per compiere all’interno del nostro organismo, le conseguenze a medio e lungo termine sul proprio profilo lipidico e sulla curva glicemica. Eppure, mai come in questo caso, il destino è nelle nostre mani.
Di tutto il Dna solo l’1,5 assolve il compito fisso di fabbricare proteine e Rna, il restante 98,5% riceve informazioni dall’ambiente. Il che significa che il cibo, l’acqua, l’aria che respiriamo, i farmaci e le altre sostanze che assumiamo influenzano in continuazione questa larga parte del Dna che funziona come “interruttore” di accensione o di spegnimento dei geni ereditati. Insomma, negli ultimi anni abbiamo preso coscienza del ruolo sempre più evidente dell’ambiente (il cosiddetto exposoma) e di quanto il cibo sia un fattore epigenetico importantissimo nel condizionare l’espressione genica. Per questa ragione, dobbiamo prenderci cura di quei 44.000 miliardi di cellule che compongono il nostro corpo, “nutrirle” nel modo corretto.
Perché viene definita sindrome, e non malattia?
Perché è una condizione complessa, a origine multifattoriale, che interessa diverse sfere: il sistema metabolico, quello cardiocircolatorio, quello neuroendocrino (con la sua continua produzione di ormoni e neurotrasmettitori), nonché gli organi emuntori come il sistema epatico, il maggiore responsabile del colesterolo endogeno. Quando tutti questi sistemi dialogano armoniosamente, in un gioco di squadra, l’organismo mantiene una fisiologica omeostasi.
Se invece il lavoro di team si guasta, e predomina l’infiammazione (eccessivo rilascio di citochine proinfiammatorie), si verifica una disregolazione di tutti questi sistemi e si produce un mare di radicali liberi, molecole ossidate responsabili della degenerazione cellulare. Occorre quindi riprendere in mano le redini della propria vita, capire qual è la battaglia che bisogna affrontare, la mission che dobbiamo intraprendere per spegnere l’infiammazione sistemica di fondo.
Lei ha accennato anche al ruolo del sonno. Ci può spiegare meglio?
Dormire bene e in quantità sufficiente è fondamentale per evitare di soffrire di MS. Durante la notte, nella fase Rem del sonno (quella dei sogni), si bruciano i grassi anche se siamo a riposo. Ma se dormiamo poco e male, magari per colpa dello stress, non funziona bene l’asse adrenalina-glucagone, l’ormone che ha il compito di mobilizzare il glucosio nel fegato e nei muscoli. Così, in assenza di una buona igiene del sonno, al mattino è possibile riscontrare una glicemia alterata, dovuta non tanto al diabete incipiente ma ad ansia e stress notturno, con un sonno costellato da microrisvegli e, talvolta, persino da incubi. In questo caso il medico deve cercare di far dormire bene il paziente consigliandogli una buona melatonina, prima di prescrivere la metformina (il farmaco ipoglicemizzante).
Anche se, sulla questione glicemia c’è molto da dire. Molti si credono “a posto” perché hanno un valore a digiuno inferiore ai 100 mg/dl. In realtà le persone a rischio di sviluppare il diabete sono molte di più perché non si prescrivono degli esami che hanno un alto valore predittivo come l’emoglobina glicata, cioè il parametro di laboratorio che misura la media della glicemia negli ultimi tre mesi, e il cosiddetto indice di Homa, un altro parametro che consente di rilevare sul nascere l’insulino-resistenza, anticamera del diabete.
Colesterolo e trigliceridi alti. Che cosa si può fare?
Circa il colesterolo, si legge spesso che solo il 20% dipende dalla dieta, il resto è endogeno in quanto sintetizzato dal fegato. Così molti sposano la tesi che non si può fare più di tanto per abbassarlo. Invece no: se la dieta incide per il 20% significa che, con i giusti correttivi, possiamo far scendere un colesterolo da 300 mg/dl a 240 mg/ dl. E non è poco. Stesso dicasi dei livelli di trigliceridi che risentono di quanto mangiamo e della carenza di Omega 3, presenti soprattutto nel pesce azzurro ma anche nelle noci e nelle mandorle non pelate.
La soluzione, in questo caso, consiste nell’associare misure nutrizionali all’assunzione di Omega 3, molto utili ma incapaci di fare miracoli se si continua a mangiare troppo e male. È fondamentale ripristinare il corretto rapporto tra Omega 6 e Omega 3: per ogni 4 parti dei primi bisognerebbe consumare almeno una parte dei secondi, mentre nella dieta occidentale tale rapporto è sbilanciato a favore degli Omega 6: 10 a 1 o addirittura 15 a 1. Ciò comporta un maggior rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, come ipertensione, aterosclerosi, ischemia, ictus e infarto.
È vero che anche gli zuccheri, non solo i grassi, fanno aumentare il colesterolo?
Vero. Un tempo si diceva che chi soffriva di dislipidemie doveva tenere sotto controllo il consumo di carne rossa, salumi e formaggi. Il grasso (del sangue) aumenta con il grasso (dei cibi), si pensava. Ma poi si è visto che anche i picchi insulinici, dovuti a un eccesso di zuccheri semplici, stimolano l’attività di quell’enzima che fa produrre colesterolo al fegato. L’enzima in questione, che gioca un ruolo chiave nella sintesi del colesterolo endogeno, ha un nome complicato: 3 idrossi-3 metilglutaril-CoA reduttasi, ma viene anche abbreviato con HMGCoA reduttasi.
Per tenerlo basso occorre ridurre al minimo gli zuccheri semplici e, tra i complessi, quelli a base di farina 00. Nel fare la spesa, vanno privilegiati i grani antichi e i cereali gluten free come il grano saraceno, il riso integrale, il mais, il miglio, l’amaranto e la quinoa. Altri consigli: consumare verdure crude a pranzo e cotte alla sera, per stimolare la peristalsi, bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno e, a colazione, prendere uno yogurt magro (greco o di capra) o del kefir. Poi, una fetta di pane integrale o di segale tostato (la tostatura “disattiva” il lievito che tende a fermentare nell’intestino), spalmata con crema di arachidi, mandorle o nocciole o con un velo di marmellata. Tutti senza zuccheri aggiunti.
Quando si deve ricorrere ai farmaci per curare la MS?
Dipende dal singolo paziente e dal suo quadro clinico. Si possono prescrivere farmaci ipoglicemizzanti e ipocolesterolemizzanti, ma il primo step è seguire una dieta per perdere peso e ridurre il tessuto adiposo che circonda fianchi e girovita, il più pericoloso sotto il profilo oncologico e cardiocircolatorio. Quale dieta? Vanno bene sia la chetogenica, per brevi periodi e sotto controllo medico, sia il digiuno intermittente praticato una-due volte alla settimana con astensione dal cibo per 16 ore. Ma va bene anche ricorrere alla nutraceutica, con un’integrazione studiata sul singolo individuo, per curare il malato, non la malattia.
Personalmente adotto con successo la “low dose medicine”, tesa a ripristinare l’equilibrio tra i sistemi corporei. Utilizza le stesse molecole-segnale che il nostro corpo usa come messaggere e controller dei processi metabolici e infiammatori: citochine, ormoni, neurotrasmettitori, fattori di crescita. Tutte a basse dosi, pari a quelle fisiologiche presenti nel nostro organismo e misurabili in microgrammi o addirittura femtogrammi. In alcuni casi vengono prescritte anche sostanze minerali e vegetali, sempre nella formula “low dose”: per esempio, per l’iperglicemia, utilizzo il Syzygium Eugenia Jambolana, pianta i cui principi attivi riducono del 20% il picco glicemico post-prandiale. Il meccanismo di azione dei “low dose” per bocca? Dall’interazione con l’acqua e gli attivi a basse concentrazioni scaturiscono degli effetti biologici, per riequilibrare l’organismo in maniera dolce ma efficace. Le gocce assunte secondo prescrizione medica, infatti, sfruttano la tecnica chiamata Ska (sequential kinetic activation), una sequenza di reazioni a catena che contrasta la sindrome metabolica.
I consigli a tavola
È bene ridurre il consumo di carne rossa e insaccati a 1-2 volte alla settimana, in quanto ricchi di grassi saturi che rendono gli adipociti ipertrofici e carenti di ossigeno. Meglio puntare sul pesce, in modo da ripristinare il corretto rapporto tra Omega 6 e Omega 3. L’ideale è che sia 4 a 1: 4 parti di Omega 6 ogni parte di Omega 3.
Dall’ulivo, la nuova arma anticolesterolo
Dall’albero degli ulivi proviene Omega Formula, frutto della ricerca Guna, l’azienda farmaceutica leader nel campo dell’omotossicologia. È a base di Momast, un complesso polifenolenico anticolesterolo. «È formato da idrossitirolo, tirosolo e verbascoside, tre composti fenolici che hanno come precursore l’oleuropeina, oggetto di ricerca per i suoi effetti benefici», spiega Carmen Lammi, professore di chimica degli alimenti al dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università di Milano. «Lo studio condotto, pubblicato a giugno su Antioxidant, dimostra che il Momast inibisce nel fegato l’enzima HMG-CoA reduttasi, frenando la sintesi di colesterolo e alzando i livelli di Hdl, la frazione “buona”. Viene così bloccato il meccanismo a monte, senza gli effetti avversi delle statine, come dolori e debolezza muscolare».
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