Come ritrovare la fiducia negli altri nell’epoca del sospetto

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La diffidenza e la smania di controllo possono avvelenarci la vita. L’esperta ci spiega come uscire da questa trappola mentale. La chiave? La leggerezza

La fiducia? Facciamo sempre più fatica a concederla, e a ragion veduta, dato che non passa giorno senza almeno una riprova del fatto che tutti – ma proprio tutti – mentono, tradiscono, nascondono, ingannano: dalle istituzioni con i loro rappresentanti (politici, banchieri, sacerdoti, insegnanti, medici, assistenti sociali…), alle persone a noi più prossime; dal cibo che consumiamo, all’ambiente in cui ci muoviamo. Rifiutarci di accordarla, però, non ci mette al riparo dalle fregature, né ci fa stare bene.

«Essere sempre sul chi va là, sovraccarichi di attenzione e di responsabilità è molto stressante», dice la psicologa e psicoterapeuta Olga Chiaia, che ha dedicato il suo manuale Lezioni di fiducia per diffidenti (Urrà Feltrinelli, 14 €) proprio alla vita nell’epoca del sospetto. «È vero che la diffidenza serve a proteggerci mettendo a frutto gli insegnamenti delle esperienze negative, nostre o altrui, ma quando è troppa e generalizzata ci irrigidisce e ci fa ripiegare in noi stessi».

Fraintendimenti contemporanei

Secondo i sostenitori della diffidenza, fidarsi non è sano per vari motivi, primo fra tutti perché implicherebbe rinunciare alla propria autonomia e creerebbe dipendenza dal prossimo. Nel libro Cosa fare delle nostre ferite? (Erickson, 8 €), la filosofa Michela Marzano smonta questa convinzione: «Dobbiamo imparare a contare su noi stessi e ad avere fiducia nelle nostre forze riconoscendo, al tempo stesso, la dipendenza che ci lega a coloro di cui ci fidiamo. Ecco la vera autonomia: scegliere non solo il genere di esistenza che si vuole condurre, ma anche le persone a cui concedere la propria fiducia».

Certo, superare la diffidenza e mettersi nelle mani di qualcuno significa accettare di essere vulnerabili nei suoi confronti, cioè ipotizzare che potrebbe deluderci e ferirci, volontariamente o meno, e sappiamo quanto la vulnerabilità sia oggetto di riprovazione nella nostra società. Eppure, essa appartiene alla nostra natura umana, dunque perché temerla, camuffarla, negarla?

L’antidoto sbagliato

Per cercare di recuperare la sensazione di sicurezza, a fronte della constatazione di quanto il mondo sia (diventato) imprevedibile e inaffidabile, puntiamo spesso sul controllo: per esempio, ci informiamo scrupolosamente su ciò che mangiamo e sull’aria che respiriamo, monitoriamo ogni dichiarazione e atto di politici e amministratori locali, geolocalizziamo i figli attraverso lo smartphone e pretendiamo “l’amicizia” dei nostri partner su ogni social che frequentano.

«Se da un lato è giusto non fidarsi di chiunque ma solo a ragion veduta, dopo aver riflettuto, ragionato e soprattutto sentito, in profondità, la propria verità, dall’altro non dobbiamo pensare che il controllo sia la soluzione alle nostre insicurezze e paure, l’elemento che ci spiana la strada verso una fiducia a prova di errore», spiega la psicologa.

Innanzitutto, è illusorio: non potremo mai raggiungere la certezza che qualcuno sia al 100% sincero, capace, preparato, in buona fede (in sintesi, affidabile). «E poi, quando il controllo è eccessivo, rigido, o quando diventa l’unica modalità di azione anche in momenti o ambiti in cui non è richiesto, si trasforma in una trappola, in un ostacolo alla vitalità. proprio come la diffidenza».

La strategia giusta

La buona notizia è che un bilanciamento fra controllo e fiducia è possibile e passa attraverso la leggerezza. «Alleggerire vuol dire liberare l’energia dalle trappole emotive, dai circoli viziosi, dallo sfinente rimuginare», precisa la dottoressa Chiaia.

«Si può iniziare a lasciar andare quello che pesa di più: i giudizi, le autocritiche, il perfezionismo, i dubbi su cose irrilevanti, i doveri non dovuti, le colpe, i paragoni, le lamentele. Alleggerendo la pressione e la diffidenza verso noi stessi, sarà più facile farlo anche nei confronti del prossimo. Si può anche provare la tecnica del “transurfing” dell’autore russo Vadim Zeland, ossia l’arte di scivolare con leggerezza sulle onde della vita, con consapevolezza e libertà, e di scegliere la variante ottimale di quello che viviamo. Proviamo ad allentare la presa del controllo e a lasciare più libertà alla corrente», suggerisce la psicoterapeuta.

«Questo non significa essere d’accordo con tutti e accettare tutto, ma semplicemente cambiare tattica: spostare il centro di gravità dal controllo all’osservazione. Se cerchiamo più di osservare che di controllare, cioè esercitiamo la fiducia, daremo alla situazione la possibilità di risolversi senza il nostro intervento o la nostra reazione». Un’esperienza nuova che ci libererà dal fardello delle preoccupazioni e spianerà la via verso un ulteriore recupero (o scoperta) della fiducia.

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