Ho incontrato Barry Sears per la prima volta nel 1995. Lui aveva appena scritto il suo libro sulla Zona, che prima di diventare una delle diete più seguite e famose al mondo (soprattutto fra gli sportivi, per le sue qualità performanti e antifatica) era un metodo per vincere l’insulino-resistenza, quindi l’obesità e la sindrome metabolica, quel mostro che oggi miete vittime a milioni, creando pazienti con problemi cardiovascolari e il diabete di tipo 2. L’ho ritrovato in occasione del corso organizzato da The Inflammation Research Foundation – Equipe Enervit con il patrocinio della Società Italiana di Nutrizione, Sport e Benessere (SINSEB). A quanto pare, lui e la Zona godono di ottima salute.
Dopo tante diete proposte in questi anni la Zona è attuale?
Occorre per prima cosa distinguere la Zona dalla dieta. Per Zona intendo uno stato metabolico del nostro organismo che ci permette di controllarlo. Quando mettiamo del cibo in bocca, è proprio grazie al nostro metabolismo che l’alimento viene convertito in tessuto vivo.
Se il corretto metabolismo viene sovvertito per qualsiasi motivo, come con una dieta sbagliata, si può instaurare quella che i medici chiamano insulino-resistenza, e che produce crescita di peso, induce la comparsa di malattie croniche e fa invecchiare più precocemente. Essere in Zona invece significa assenza di insulino-resistenza nell’organismo, e quindi avere un metabolismo che funziona al massimo dell’efficienza. Allora si perde peso più facilmente, si hanno minori rischi di ammalarsi e si rallenta la velocità dell’invecchiamento.
La dieta quindi nasce dalla sua teoria sul metabolismo…
È stata brevettata come sistema per combattere l’insulino-resistenza, ma fornisce anche la giusta energia se devi fare attività fisica. È quindi parte essenziale di un percorso che la persona deve affrontare per entrare in Zona e starci in ogni fase della sua vita.
Ma è la stessa di 30 anni fa?
No, è solo un elemento del sistema, al quale se ne devono aggiungere due. Il primo si basa su una assunzione maggiore di acidi grassi Omega 3 (quelli buoni, salutari del pesce azzurro, per intenderci) e il secondo prevede il consumo adeguato di polifenoli, che sono quelle sostanze che danno alla frutta e alla verdura il loro colore. Questi due elementi, insieme alla dieta, ti portano e ti mantengono in Zona, e quindi in salute e a lungo.
Zona e dieta mediterranea: quali i punti di contatto?
La Zona è un’evoluzione della dieta mediterranea: la potremmo chiamare la mediterranea 2.0. Usa ingredienti della prima, però seguendo delle regole particolari. Anche per questo la Zona è ancora la migliore fra le tante diete proposte da anni.
In effetti escono diete di tutti i tipi, soprattutto iperproteiche: che ne pensa?
Da ricercatore giudico una dieta in base agli studi che ne provano l’efficacia. Molti programmi alimentari hanno una ricerca clinica a supporto della loro validità carente, mentre quella che supporta la dieta Zona è notevole: ecco perché, per esempio, la Facoltà di Medicina di Harvard la usa da 15 anni per il trattamento del diabete di tipo 2. Invece le diete chetogeniche, molto in voga, sono state oggetto di uno studio della nostra Fondazione che è stato pubblicato sulla più prestigiosa rivista di nutrizione clinica al mondo.
Abbiamo confrontato un’alimentazione a Zona con una chetogenica: dopo 6 settimane di dieta c’era una maggiore perdita di peso e di massa grassa per i pazienti in Zona, ma anche un migliore effetto sull’umore e sulle prestazioni sportive. La chetogenica, invece, raddoppiava il livello di infiammazione nell’organismo. Un altro studio della Harvard School of Medicine dice che seguire a lungo una dieta chetogenica fa aumentare i livelli dell’ormone cortisolo, il quale accelera lo sviluppo dell’insulino-resistenza.
Però anche la Zona è stata accusata in passato di essere troppo sbilanciata sulle proteine…
Ma non suggerisce mai di consumare più fonti proteiche (o meno) di quelle che entrano nel palmo di una mano a pasto, e questo corrisponde alle raccomandazioni di tutti i nutrizionisti americani.
La storia dei blocchi come metro di misura: molti lo hanno trovato complicato
L’unità di misura originaria nella dieta Zona è in effetti a blocchi: ogni blocco è composto da una percentuale calorica di carboidrati (40%), proteine (30%) e grassi (30%). È il metodo scientifico-matematico dietro il mio sistema dei pasti. Nella realtà basta dividere il piatto in tre sezioni: un terzo è destinato a una fonte di proteina magra (pesce, carni bianche, tofu) della grandezza del palmo della mano; gli altri due terzi del piatto vanno riempiti con carboidrati colorati, quindi frutta e verdura. E poi si aggiunge una quantità moderata di grassi: ideale l’olio, buonissimo in Italia. L’Italia è il Paese per stare in Zona.
Però non c’è molta pasta: per noi italiani è importante!
Il problema della pasta è che i suoi carboidrati entrano nel sangue molto rapidamente, e questo può avere delle conseguenze a livello ormonale: il mio consiglio è mangiatela pure, ma con moderazione, mettendola in un terzo del famoso piatto. L’ultimo terzo di questo piatto, in questo caso, rimane vuoto, perché la quantità di carboidrati forniti dalla pasta è sufficiente.
E il problema numero uno delle diete, la fame?
Se consumi il piatto come descritto precedentemente la prova che sei in Zona è proprio quella di non avere fame per le 5 ore seguenti. È infatti il bilanciamento giusto fra proteine e carboidrati che controlla gli ormoni che gestiscono la fame. E se non hai troppo appetito assumi meno calorie. È sbagliato pensare alla dieta come a un breve periodo di deprivazioni per infilarsi il costume da bagno: dieta deriva dal greco antico e significa stile di vita. La Zona è un sistema e stile di vita.
Al ristorante e con i famosi apericena diffusi fra i più giovani come si fa?
In Italia io inizio sempre con un antipasto di verdure grigliate, poi di solito prendo pesce alla griglia con contorno di verdure e un po’ di frutta fresca di stagione: è una buona formula con molte varianti possibili. Per quanto riguarda gli aperitivi l’alcol è un carboidrato: un bicchiere di vino e 30 g di formaggio sono una buona scelta conviviale.
Durante le ricorrenze particolarmente “impegnative” a tavola, come il Natale, che fare?
Cercare di bilanciare il più possibile gli inevitabili carboidrati con le proteine, ma una volta alla settimana si può uscire dalla Zona. Facciamo un pasto alla settimana libero, mangiando per esempio quanta pasta si vuole, o i dolci: ci accorgeremo, dopo la soddisfazione iniziale, quanto si stia meglio in Zona e vorremo rientrarci al più presto. Necessiteranno poi circa due giorni per liberarci della “sbornia insulinica” data dall’eccesso di carboidrati e alcol, ma poi saremo tornati in equilibrio.
Il Covid ci ha insegnato qualcosa in termini di alimentazione?
Ha messo a nudo le carenze del nostro sistema immunitario. I tre gruppi di persone più esposti alle conseguenze peggiori del virus sono stati gli anziani, gli obesi e gli affetti da diabete. E cosa collega questi tre tipi di pazienti? L’insulino-resistenza, che ha come conseguenza un abbassamento delle difese immunitarie. Quando parliamo di metabolismo oggi dovremmo infatti parlare di immuno-metabolismo: sono due cose intimamente collegate.
Quali sono le ultime scoperte interessanti nel campo dell’alimentazione?
Abbiamo sempre più evidenze sull’impatto della nutrizione sul sistema immunitario. Parlo soprattutto dell’epigenetica, cioè della nutrizione come elemento di controllo dei geni: il cibo che mangiamo è un farmaco così potente che può mutare l’espressione dei nostri geni, nel bene e nel male. Tratteremo sempre di più il cibo come la medicina giusta da usare nel momento e nei dosaggi più appropriati. E il laboratorio ideale dove tutto questo può essere fatto è proprio l’Italia.
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