Ha compiuto 100 anni l’elettroencefalogramma (EEG), l’esame che consente di analizzare, monitorare e registrare l’attività elettrica del cervello.
Era il 1924 quando il neuropsichiatra tedesco Hans Berger riuscì a riprodurre graficamente tutto quello che veniva generato elettricamente dai neuroni della corteccia cerebrale di un ragazzo di 17 anni. Servirono dieci anni affinché la comunità scientifica dell’epoca validasse i risultati descritti dal medico, ma successivamente lo sviluppo dell’elettroencefalogramma fu rapido e inarrestabile in tutto il mondo.
«Nel corso del tempo, l’EEG ha assistito a una grande innovazione tecnologica», commenta il professor Oriano Mecarelli, neurologo e presidente della Fondazione Epilessia LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia). «All’inizio le apparecchiature erano ingombranti, rudimentali ed essenziali nei loro risultati. Oggi, invece, si utilizzano strumenti sempre più maneggevoli, precisi e computerizzati, che permettono sia di eseguire l’esame in ambienti sensibili come le terapie intensive o le sale operatorie, sia di trasmettere il tracciato via rete, consentendo la refertazione a distanza e un più facile scambio di pareri tra colleghi».
Cos’è l’elettroencefalogramma
L’EEG è un esame semplice, indolore e non invasivo, che gode ingiustamente di una cattiva fama perché viene spesso confuso con la terapia elettroconvulsivante (elettroshock).
«In realtà, nell’elettroencefalogramma non passa corrente dalla macchina alla testa della persona, ma avviene l’esatto contrario, in quanto è il cervello a trasmettere la sua attività elettrica alla strumentazione», tiene a precisare il professor Mecarelli.
Di quale attività elettrica parliamo? Nel cervello, le informazioni viaggiano più veloci di un treno ad alta velocità, perché possono superare i 400 chilometri all’ora. Quando un neurone viene stimolato, si genera un impulso elettrico che si propaga da cellula a cellula: alcune sensazioni si muovono in fretta, come il prurito, mentre altre vanno più lentamente, come la percezione di caldo o di freddo che ricaviamo toccando un oggetto.
«L’elettroencefalografo riesce a captare questa attività elettrica spontanea attraverso la quale “parlano” i nostri neuroni e trasformarla in un grafico fatto di ritmi e onde, che si ripetono in maniera più o meno regolare», riferisce l’esperto.
Come si esegue l’elettroencefalogramma
Per l’esecuzione dell’esame, il paziente viene fatto accomodare su una poltrona o su un lettino per favorire il rilassamento.
Sulla testa, gli vengono applicati da 10 a 25 elettrodi: ciascuno di essi capta l’attività cerebrale del tessuto sottostante, che è diversa da punto a punto ed è differente durante i vari stati di vigilanza o di sonno.
Quando serve l’elettroencefalogramma
Grazie all’EEG, i neurologi possono osservare se il cervello è sofferente per qualche ragione. «Prima della risonanza magnetica, l’elettroencefalogramma veniva prescritto ogni volta in cui c’era il sospetto di un disturbo cerebrale, mentre oggi è riservato soprattutto allo studio delle diverse forme di epilessia», illustra il neurologo. «L’EEG può diagnosticare queste malattie ma anche monitorarle nel tempo, per esempio osservando se la terapia seguita dal paziente è efficace o meno», descrive il professor Mecarelli.
Teniamo conto che l’epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, perché nei Paesi industrializzati interessa circa 1 persona su 100: ciò significa 600 mila pazienti in Italia, 6 milioni in Europa e oltre 50 milioni nel mondo.
«Un altro campo di utilizzo è quello dei disturbi del sonno, come le apnee ostruttive notturne o i disturbi motori e comportamentali: durante il sonno, infatti, i tracciati EEG sono diversi a seconda dello stadio di profondità, per cui è possibile capire “come si dorme” con una registrazione fatta in laboratori dedicati oppure direttamente al domicilio», spiega l’esperto.
«Infine, l’elettroencefalogramma è utile nella cosiddetta area critica, cioè per monitorare il paziente ricoverato in terapia intensiva, in condizioni di coma più o meno profondo, oppure per accertare la morte encefalica prima di procedere al prelievo di organi e tessuti a scopo di trapianto».
Le prospettive future
Oggigiorno, l’intelligenza artificiale è in grado di supportare il personale medico nell’analisi dei dati: questo non significa che in futuro si potrà eliminare l’insostituibile apporto dell’occhio umano esperto, ma si potrà rendere la metodica più applicabile nel settore sperimentale e più fruibile su larga scala, ad esempio nei Paesi a basso reddito, dove non ci sono elettroencefalografisti adeguatamente formati, oppure nelle strutture in cui si fanno molti esami, ma il personale è carente.
«Spesso, questi esami vengono refertati da medici inesperti, perché mancano gli specialisti formati nel settore», conclude il professor Mecarelli. «L’intelligenza artificiale potrebbe sopperire a questa carenza, velocizzando le refertazioni e migliorando quindi l’iter diagnostico».
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