Cose di casa nostra | Corriere dell’Irpinia

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Di Gianni Festa

Esco dalla sede del Corriere, in via Annarumma, in città, compio pochi passi e mi trovo di fronte ad una montagna di pietre di risulta di una costruzione di un fabbricato che svetta sul suolo che doveva essere adibito a sede fieristica di Avellino, come ben avrebbero dovuto sapere l’ufficio tecnico comunale, l’assessore addetto al ramo e i vigili urbani, che poco s’interessano, a quanto pare, di sgarbi urbanistici alla cttà. Compio centinaia di metri e davanti al centro sociale Samantha Della Porta l’auto si piega su un passaggio pedonale, alto quanto le ruote che per poco non cedono. Più avanti una buca profonda al centro della strada quasi ingoia la parte posteriore dell’auto. In realtà, i crateri sparsi per la città si contano a centinaia. Il record, ma non è sicuro, spetta alla strada verso Bellizzi che scavalca il centro abitato e fa da variante per Contrada. Mi avvio verso Valle e sulla sinistra scorgo un palazzone di color celeste stinto, con macchie grigie, causate delle variazioni del clima e del tempo che passa e mi accorgo che quel monumento all’ignavia è nientemeno che il Centro per l’autismo avvolto nel silenzio. Prima pietra messa ventiquattro anni fa. Gli amministratori si coprano di vergogna. I genitori dei ragazzi bisognosi di cure sono costretti a sborsare migliaia di euro al mese per ingrassare chi sull’autismo specula. A Pianodardine, nel cosiddetto nucleo industriale, la gimkana è d’obbligo, mentre il rischio di incidenti stradali è all’ordine del giorno. Le periferie della città affogano, aspettando che qualcuno si accorga che esistono. Accadrà ora che le elezioni amministrative avanzano verso quei serbatoi di voti. E’ storia vecchia e nuova quella dei quartieri senza anima. Già. Il tunnel. Opera faraonica quanto ridicola. Maledetto terremoto che per consumare fondi si inventò quel piccolo serpente stradale inutile senza parcheggi. C’è da dire, però, che pur chiuso produce miracoli. Come quello di fare intascare bei soldini a chi tra appalti e varianti ha messo insieme un bel gruzzolo. Intanto il tunnel non vede la luce e le transenne ne vietano l’attraversamento. Dimenticavo. Tra via Zigarelli e l’attuale caserma dei Vigili del fuoco, al fianco di un “casermone” di cemento, è stata innalzata una torre, detta antenna, che poco manca entra nelle finestre del palazzo vicino. Avevano fatto finta di non vedere, poi un nostro grido di allarme ha fatto aprire gli occhi. Solo allora il sindaco della città si è allertato. Frottole. La torre nessuno fino ad ora l’ha mossa. Da un po’ di tempo i consiglieri comunali Iandolo e Giordano, a cui si è aggiunto il parlamentare Gubitosa, denunciano il grande mistero della non pubblicazione delle delibere della giunta comunale. Giustificato il clima di sospetto. Cosa nasconde questo sgarbo istituzionale? Nei miei anni trascorsi in Sicilia, in qualità di inviato de Il Mattino, in quelli che erano gli anni della mattanza mafiosa iniziata nel 1980, il “sistema” viaggiava attraverso i cosiddetti comitati di affari. Ne facevano parte amministratori, costruttori cresciuti nella cammorria, talvolta anche banche, ma soprattutto sentinelle del territorio, i cosiddetti faccendieri, che davano conto delle loro malefatte ai grandi capi delle famiglie palermitane. Qualcuno si ricorderà del “Sacco di Palermo”, auspice il sindaco Ciancimino. C’è voluto del tempo, ma alla fine qualche risultato si è raggiunto. E se tutto questo, probabilmente in misura minore, fosse già presente nella nostra realtà? Ma no. Qui è tutto ameno e dolce. Tante cose buone e tanti sorrisi con labbra a novanta gradi. Talvolta offerto per distrarre, per non far pensare. Come le luminarie del ferragosto, i concertoni con Antonello Venditti, la grande manifestazione di Eurochocolate, i contributi a pioggia agli amici degli amici e così via. Insomma con un eufemismo si potrebbe dire “E’ ‘o popolo c’o vo”. E se invece quello stesso popolo prendesse coscienza di ciò che lo circonda e che avviene grazie alla propria tasca, ai propri sacrifici in una città in cui il fatto quotidiano della vivibilità è ridotto al minimo della decenza, la penserebbe allo stesso modo? Allora meditate.


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