Sanguinamento rettale, frequenza evacuativa e urgenza intestinale sono tre fra i sintomi che tormentano i pazienti con colite ulcerosa, una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, che solamente in Italia colpisce circa 150 mila persone, soprattutto giovani.
Un nuovo farmaco sembra in grado di migliorare il quadro già dopo tre settimane di trattamento, grazie a un particolare meccanismo d’azione: «Mirikizumab è un anticorpo monoclonale che colpisce una delle vie con cui l’infiammazione si sostiene nella patologia», spiega il professor Marco Daperno, dirigente medico della Struttura complessa di Gastroenterologia presso l’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino.
«Negli ultimi quindici anni, grazie al bagaglio di conoscenza e ricerca, il patrimonio dei farmaci disponibili per la colite ulcerosa si è arricchito notevolmente di farmaci innovativi, a una velocità che prima sarebbe stata impossibile. Mirikizumab rientra in questo fermento e consente il rapido ritorno a una qualità di vita adeguata, facendo recuperare ai pazienti una piena integrazione in famiglia e sul lavoro».
Cosa sono gli anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali come mirikizumab sono proteine create in laboratorio, che hanno le stesse caratteristiche di quelle prodotte dal nostro organismo e sono progettate per riconoscere in maniera specifica una sola e determinata molecola (antigene) a cui si legano, neutralizzandola, come proiettili intelligenti.
La loro scoperta risale al 1975, quando due ricercatori – César Milstein e Georges Köhler – misero a punto una tecnica sperimentale per “fondere” delle cellule di topo con altre tumorali, in modo da ottenere delle cellule ibride capaci di produrre quantità illimitate di anticorpi specifici contro il tumore.
L’innovazione di Milstein e Köhler, che per questo vinsero il Premio Nobel nel 1984, ha aperto poi la strada a successive applicazioni sull’uomo, perché successivamente sono state sviluppate tecniche per ottenere monoclonali umani per uso terapeutico.
Oggi gli anticorpi monoclonali vengono utilizzati soprattutto in campo oncologico e nel trattamento di alcune malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla, oltre alle malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e malattia di Crohn).
Come agisce mirikizumab sulla colite ulcerosa
Mirikizumab è il primo antagonista dell’interleuchina-23p19 (IL-23p19) approvato per il trattamento della colite ulcerosa.
«Nella pratica, questo farmaco va a bloccare uno degli interruttori dell’infiammazione, impedendo che questa si inneschi e favorendo il suo spegnimento», descrive il professor Daperno.
«La subunità p19 di IL-23 non è un interruttore qualunque. Altri si trovano più a monte della cascata infiammatoria e spegnerli può indurre maggiori effetti collaterali, perché si finisce per bloccare anche quell’infiammazione “buona”, positiva, che aiuta le difese immunitarie a contrastare gli agenti nocivi che incontriamo, come virus e batteri».
Al contrario, la subunità p19 di IL-23 si trova più a valle di quel processo, quindi l’utilizzo di mirikizumab riduce il rischio di infezioni opportunistiche, piuttosto frequenti nei soggetti con sistema immunitario compromesso.
Quali sono i vantaggi di mirikizumab
Il programma di studi clinici LUCENT, su cui si è basata l’approvazione del farmaco, ha dimostrato l’efficacia di mirikizumab: dopo 12 settimane di trattamento, quasi due terzi (64%) dei pazienti hanno raggiunto la risposta clinica e quasi un quarto (24%) ha raggiunto la remissione clinica.
Tra l’altro, l’azione di questo anticorpo monoclonale è sostenuta nel tempo: fra coloro che hanno raggiunto la remissione clinica a 12 settimane, circa due terzi (64%) dei pazienti l’hanno mantenuta attraverso un anno di trattamento continuo.
«Visto i buon profilo di sicurezza, mirikizumab è indicato in linea teorica per tutti i pazienti, anche i più fragili o anziani: al momento però, visti i costi e le indicazioni nazionali e regionali, la prescrizione è riservata per il trattamento della colite ulcerosa attiva da moderata a grave nei soggetti adulti», riferisce l’esperto.
Come va usato mirikizumab
Mirikizumab va somministrato con un’infusione endovenosa, una volta al mese per tre mesi consecutivi, a cui segue un mantenimento mensile che il paziente può gestire comodamente al domicilio, perché prevede un’iniezione sottocute, simile a quella dell’insulina.
«Anche per le terapie avanzate, infatti, si cerca sempre più di minimizzare l’impatto sul paziente e di diminuire gli accessi in ospedale», commenta il professor Daperno.
Un sostegno alla qualità di vita
Mirikizumab ha mostrato un’ottima efficacia soprattutto sull’urgenza evacuativa, un sintomo che spesso costringe i pazienti a non uscire di casa, a non intrecciare relazioni personali, ad abbandonare lo studio o il lavoro.
«Il fatto di dover raggiungere il bagno nell’arco di un minuto dallo stimolo, in modo da non rischiare l’incontinenza, rappresenta un forte disagio psicologico, che intralcia le normali attività quotidiane: c’è chi evita le uscite con gli amici, l’attività sessuale, i viaggi o le occasioni sociali per la paura di non poter gestire la situazione».
Non a caso, l’American College of Gastroenterology riconosce nelle sue linee guida l’importanza dell’urgenza intestinale come una delle principali preoccupazioni per i pazienti che convivono con la colite ulcerosa e raccomanda agli specialisti di darle la priorità quando si considerano i trattamenti.
«Come se non bastasse, poi, una malattia ben controllata evita anche la progressione del processo infiammatorio, scongiurando sia la necessità di dover ricorrere a un intervento chirurgico demolitivo sia le possibili, seppure rare, degenerazioni in un tumore del colon», conclude il professor Daperno.
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