Con l’introduzione e la progressiva diffusione delle terapie implantari, la perimplantite è diventata una delle patologie odontoiatriche più frequenti tra quelle che dentisti e igienisti devono affrontare ogni giorno.
«La perimplantite è un’infezione batterica che causa la progressiva perdita di struttura ossea intorno agli impianti dentali. È molto simile alla malattia parodontale che coinvolge i denti naturali, dove l’infiammazione parte dalle gengive per poi progredire in profondità, coinvolgendo i tessuti di sostegno dei denti e provocando un riassorbimento osseo», descrive il dottor Michele Cassetta, coordinatore della Dental Unit alla Clinica Villalba di Bologna.
«Allo stesso modo, la perimplantite esordisce con una forma più blanda, definita mucosite, in cui la gengiva inizia ad arrossarsi, a cambiare colore, a sanguinare. A quel punto, proprio come nella parodontite, il normale solco gengivale si approfondisce e forma le cosiddette tasche perimplantari, al cui interno cominciano a proliferare indisturbati i batteri presenti nel cavo orale danneggiando gravemente le strutture di sostegno della radice in titanio, che perde la sua iniziale stabilità e rischia di staccarsi completamente dal tessuto osseo».
Quali sono le cause della perimplantite
La perimplantite può insorgere anche dopo qualche anno dal posizionamento degli impianti che, in genere, non si “ammalano” subito.
«Infatti, dopo il loro inserimento, l’eventuale dolore o altri fastidi sono dovuti a una mancata osteo-integrazione, quel processo biologico attraverso il quale l’osso integra la vite artificiale attraverso la produzione di nuovo tessuto», spiega il dottor Cassetta.
«A distanza di tempo, invece, ad agire come fattore di rischio sono una cattiva igiene orale che causa un accumulo incontrollato di placca batterica, la mancanza di controlli periodici dal dentista, le pregresse parodontopatie, il fumo di sigaretta e una inadeguata progettazione della protesi. Di recente, si sta indagando anche sul legame con il diabete, perché pare che questa patologia metabolica possa predisporre alla perimplantite».
Quali sono i sintomi della perimplantite
I primi tre campanelli d’allarme che devono insospettire sono gonfiore, fastidio e dolore a carico della gengiva intorno all’impianto.
«Per fortuna, con i giusti accorgimenti e le cure adeguate, il processo è reversibile. Al contrario, se viene sottovalutato, porta alla vera e propria perimplantite, spesso difficile da trattare», ammette il dottor Cassetta.
Con il passare del tempo, infatti, l’iniziale mucosite porta alla formazione di fessure profonde tra l’impianto e l’osso (tasche perimplantari) che sono misurabili attraverso delle piccole sonde da affondare delicatamente nel solco gengivale. «In condizioni di normalità, la profondità di sondaggio non dovrebbe superare 1-1,5 millimetri, mentre nelle situazioni patologiche aumenta progressivamente. Maggiore è questo valore, più severa è la perimplantite».
Come si arriva alla diagnosi della perimplantite
Come per qualsiasi patologia, una diagnosi corretta della perimplantite è essenziale per un trattamento efficace. Oltre all’esame obiettivo, che consente allo specialista di osservare eventuali segnali di allarme e valutare i segni clinici di infiammazione a carico della gengiva (rossore, gonfiore, sanguinamento, produzione di pus oppure anomalie del contorno, della consistenza o della forma), il sondaggio perimplantare serve a misurare la profondità delle tasche perimplantari, mentre una radiografia endorale può mostrare l’effettiva perdita di attacco osseo sull’impianto.
«Quando invece ci si trova di fronte a un impianto mobile, significa che la situazione è già molto avanzata e, spesso, neppure le tecniche chirurgiche possono porre rimedio», tiene a precisare il dottor Cassetta.
Come si cura la perimplantite
Una volta accertato il problema, cosa si può fare? In genere, si parte con delle sedute di igiene professionale, che hanno lo scopo di ridurre la carica batterica, interrompendo l’infiammazione del tessuto perimplantare. Questa tecnica meccanica equivale all’ablazione e alla levigatura radicolare usate nella terapia parodontale, anche se le caratteristiche degli impianti – in termini di struttura e superficie – richiedono un approccio differente.
«Grazie a spazzolini lucidanti, paste per profilassi, punte a ultrasuoni o getti di particelle ad alta pressione si va a pulire il tessuto intorno all’impianto: quando è possibile, il trattamento viene effettuato rimuovendo la corona protesica, altrimenti si procede comunque “decontaminando” la tasca perimplantare», racconta l’esperto. «Le cose si complicano, invece, se la perimplantite ha già compromesso l’osso: in questo caso, si può ricorrere a tecniche chirurgiche mirate a rigenerare quello intorno all’impianto. Se poi la situazione è molto compromessa, potrebbe rendersi necessario procedere con la rimozione della vite in titanio, in modo da eliminare l’infezione e rigenerare l’osso che, a distanza di tempo e dopo la completa guarigione, potrà ospitare un nuovo impianto».
Quali sono i pericoli della perimplantite
Per lungo tempo, la perimplantite è stata considerata un possibile focus infettivo per l’intero organismo, una sorta di “bomba a orologeria” dovuta al fatto che i batteri patogeni presenti nelle tasche perimplantari possono entrare nel torrente circolatorio, cioè nel sangue, e insediarsi in altre sedi, come vasi sanguigni, articolazioni, organi o tessuti.
«Oggi questa ipotesi è ridimensionata, ma certamente chi presenta patologie a livello delle valvole cardiache oppure i pazienti immunodepressi devono prestare attenzione a qualunque condizione di infiammazione o infezione cronica», conclude il dottor Cassetta. «Soprattutto quando i focolai infettivi sono multipli, per esempio nel caso di più impianti dentali, la situazione può essere pericolosa nei soggetti fragili e non va mai sottovalutata».
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