Stadi vecchi e nuovi: argomento caldo in Italia al giorno d’oggi quello degli impianti sportivi. La stragrande maggioranza delle strutture sono fatiscenti, antiche in tutti i sensi. C’è chi, però, si sta adeguando, tra società che hanno già fatto vedere la luce alle nuove strutture e chi invece sta provando ad averne uno, con non poche difficoltà.
Dar vita a stadi nuovi non è semplice dunque, ma i vantaggio sono molteplici. Ed è per questo, oltre che per dare alla squadra della città un luogo degno della sua gloriosa storia, che anche il patron dell’Us Avellino, Angelo Antonio D’Agostino, sta lavorando al nuovo Partenio-Lombardi. Il progetto vedrà la luce nell’anno corrente e il progettista, come da noi anticipato, sarà Gino Zavanella, padre dello Juventus Stadium.
Abbiamo dunque parlato della situazione stadi in Italia e, nello specifico, dell’impianto che sorgerà ad Avellino con il professore Fabio Amatucci, docente di economia delle amministrazioni pubbliche e Responsabile Osservatorio meridionale delle partnership pubblico-privato dell’Università del Sannio, nonché esperto in Patrimonio e Project Financing.
Partiamo dal generale arrivando al particolare: qual è la situazione stadi in Italia?
“Ci sono alcuni dati indicativi, abbiamo fatto uno studio su stadi delle squadre più importanti di Serie A e B: l’età media degli impianti è anziana, circa 65 anni, le ultime ristrutturazioni importanti risalgono ai mondiali del 1990. Rispetto agli impianti solo il 20% utilizza fonti di energia rinnovabili; l’82% circa ha ancora piste di atletica che rendono molto più costosa la gestione degli stadi, ora si sta andando verso separazione. Il 30% delle strutture, poi, non prevede posti al coperto. La situazione, per invogliare la collettività nell’andare allo stadio, è difficile proprio queste condizioni. L’anno scorso è stata fatta una stima: per rimettere a posto gli stadi in Italia servirebbero 4 miliardi di euro, avendo come riferimento uno standard di stadi moderni come in altri paesi. Ma questi 4 miliardi potrebbero portare un effetto leva, moltiplicatore, per 2-2.5, quindi 8-9-10 miliardi di introiti. Attorno allo stadio ruota l’economia: prima questi erano impianti legati essenzialmente a uno sport, in funzione per 1-2 giorni a settimana, spesso localizzati in periferia e quindi facilmente raggiungibili ma non inseriti nel contesto urbano. Ora il concetto di stadio è cambiato: si vuole una struttura che viva la città tutti i giorni, che abbia un legame con essa. La legge 147/2013 ha aperto alla possibilità di impianti sportivi, tra cui appunto gli stadi. E’ una norma fatta per spingere alla realizzazione o alla ristrutturazione di queste strutture: privilegia soprattutto l’ammodernamento, ma anche la costruzione di nuovi impianti”.
Ha parlato di questo e di tanto altro in un suo libro di prossima pubblicazione. Ad esempio, c’è l’interessante questione relativa alle tre tipologie differenti di stadio.
“Abbiamo analizzato alcuni stadi europei moderni, come quelli di Francia e Inghilterra, facendo poi una fotografia degli stadi italiani di A e B. E poi i tre modelli per realizzare uno stadio, e questi modelli sono legati alla norma di cui parlavamo. In primis possono essere di proprietà o comunali, e la norma si applica in entrambi i casi. Per raggiungere il richiesto equilibrio economico-finanziario si può, nel complesso dell’operazione, realizzare attività immobiliari, escluse quelle residenziali: edilizia commerciale, industriale, di servizi, terziaria, qualunque tipo di ritorno legato all’immobiliare (tranne quello residenziale) va bene. Lo stadio diventa, dal punto di vista economico, l’operazione meno rilevante, rientra in un rifacimento della zona con nuove attività, compresa una serie di servizi legati all’attività immobiliare del territorio: alberghiera, turistica e così via. Qualunque cosa generi reddito va bene. Non serve solo un buon business plan, ma deve esserci la possibilità reale, concreta, di questo sviluppo. Poi c’è la differenza di cui sopra: o l’operazione avviene su terreni privati, come nei casi di Juventus, Udinese, Sassuolo, Frosinone, dove viene presentata una richiesta al Comune ma di fatto lo stadio è di proprietà della società, sempre nell’ambito della legge 147/2013; oppure l’altra strada è lo stadio comunale. Questo il procedimento: un soggetto privato propone un nuovo stadio, più una serie di operazioni che possono sorgere su terreni pubblici. Il privato deve quindi presentare il piano di fattibilità, il business plan al comune dove descrive l’operazione. Poi l’amministrazione pubblica deve valutare il tutto nei ristretti tempi previsti dalla norma, ovvero 90 giorni; convocare quindi la conferenza dei servizi, che è fondamentale per ottenere il via libera, dove i soggetti devono esprimere il loro parere sotto tutti i punti di vista. Se si ottiene l’ok, qui poi ci sono 2 strade: se il terreno è pubblico, il Comune procede con una gara, richiedendo il progetto definitivo. Chi ha presentato la proposta ha diritto prelazione alle condizioni migliori, ma c’è una gara aperta a tutti. Se il terreno è privato, una volta avuto l’ok, chi è proprietario del terreno va avanti e realizza l’operazione. Il vantaggio è sicuramente la rapidità dei tempi garantiti dalla norma. A volte si bloccano le procedure perché sono complesse, serve equilibrio: andare a fare uno stadio da 30-50-60 milioni ha un impatto sul territorio non indifferente, vengono toccati interessi della collettività molto significativi, è facile che l’operazione si possa bloccare. Basta pensare al nuovo stadio di Milano: quando fu presentata la proposta iniziale al Consiglio Comunale, questa prevedeva l’abbattimento del Meazza, con la creazione di un nuovo stadio adiacente a quella zona. Il Consiglio Comunale ha però preteso la permanenza del Meazza. Dunque c’è stata una variazione nel progetto di circa 70 mln di euro. Dal punto di vista prettamente economico-finanziario, è un’assurdità avere due stadi, uno accanto all’altro. Questo veto avrebbe potuto bloccare l’operazione. In questi casi, comunque, serve l’ok dell’intero Consiglio Comunale: se il progetto parte zoppo difficilmente si va avanti”.
C’è poi il terzo modello…
“Il terzo modello, lanciato dall’Istituo di credito sportivo, è legato ai fondi immobiliari: generalmente si crea un fondo immobiliare, questo raccoglie risorse, realizza lo stadio e cede le quote al Comune o ai cittadini che hanno sottoscritto le quote, poi mette a reddito lo stadio sfruttando tutte le attività annesse. La società paga il canone, il fondo riceve introiti dallo stadio e riesce a remunerare chi ha investito. In alcune città si sta studiando questa soluzione, come a Crotone o ad Ascoli Piceno. Tendenzialmente il fondo immobiliare ha senso con almeno 100 milioni, ma se lo stadio costa 30-40 milioni più la costruzione delle attività attorno, a quelle cifre ci si arriva. Ha senso un modello di questo tipo, ma è meno utilizzato perché ancora non vi sono esperienze. E’ una soluzione meno praticabile in piccole realtà, la vedo più facile nelle grosse città“.
Quindi lo stadio che vedremo ad Avellino sarà uno stadio comunale?
“Credo di sì, penso l’idea sia quella di abbattere e ricostruire mantenendo il suolo di proprietà del comune. Certo, ipoteticamente sarebbe possibile acquistare il suolo e costruirvi su uno stadio di proprietà, ma generalmente non si fa: la concessione dello stadio tendenzialmente è molto lunga, 60-70-99 anni, senza accollarsi la spesa molto esosa dell’acquisto del suolo. Non ho mai visto operazioni di questo tipo, il valore del terreno è abbastanza elevato. Certo in caso di acquisizione del terreno la società non pagherebbe il canone, ma da un’analisi costi-benefici non so quanto convenga procedere in questo modo. E poi anche il Comune dovrebbe fare delle valutazioni: da un lato potrebbe far costruire lo stadio dandolo in concessione per tanti anni e avendo dunque un canone da riscuotere, d’altro canto la vendita del suolo potrebbe essere vantaggiosa: anche il comune dovrebbe mantenere un equilibrio economico-finanziario, traendo comunque un certo profitto. Ripeto però che di solito è più facile percorrere la strada dello stadio costruito su suolo comunale per poi averlo in gestione, con abbattimento della struttura precedente. Emblematici i casi di Empoli e Bergamo: mantenimento in piedi una tribuna, il campo viene spostato perché erano precedentemente presenti le piste di atletica, e di conseguenza i settori vengono avvicinati al campo”.
Per un nuovo stadio ad Avellino che contenga anche diverse attrazioni, e che potrebbero dunque renderlo vivibile quotidianamente, quali potrebbero essere i costi?
“Il costo dell’abbattimento è significativo, soprattutto nella parte della Curva Sud: mentre le tribune e la zona nord sono semplici, la parte sud è a ridosso di abitazioni. Per dire, l’abbattimento inizialmente previsto per San Siro era di 150 milioni. Solo la costruzione del nuovo stadio, ipotizzando per Avellino una capienza di 25-30.000 persone, verrebbe grossomodo a costare sui 30 milioni. A questa cifra va aggiunto l’abbattimento più la costruzione di attività relative, tra museo e centri commerciali nella pancia della tribuna, magari anche un parcheggio sotterraneo. Complessivamente, dunque, credo si arriverà intorno ai 50-60 milioni. Lo stadio, a differenza delle altre attività commerciali, non si ripaga con l’introito da stadio, quindi con biglietti e abbonamenti: questi servono per il pagamento della squadra”.
A proposito di questo: da una struttura del genere, che dunque contenga anche altre attività, quali ricavi ci si potrebbe aspettare?
“Dipende da come risponde la città: parliamo di 60.000 abitanti più l’hinterland, è questo il valore che conta. Diciamo che deve fruttare non meno di 2-3 milioni all’anno, l’operazione deve essere remunerativa e far rientrare della spesa in tempi abbastanza brevi. In altri stadi son stati fatti contratti pluriennali con centri commerciali per stare nella pancia dello stadio, sta ad abilità e fortuna del gestore che deve affittare gli spazi. Non penso che il proprietario della società si metta a gestire il museo ma magari lo fitta, così come i centri commerciali. Gli stadi di Empoli e Bergamo son stati fatti in questo modo: diversi centri commerciali premevano per entrare in città e le società hanno venduto spazi a 5-800.000 euro all’anno per 20 anni. Un altro introito potrebbe essere la vendita dei palchetti in tribuna d’onore per 20-30 anni. Inoltre, per quanto riguarda gli introiti da stadio, anche questi cambierebbero. I costi dei biglietti verranno previsti nel piano presentato dalla società, ma saranno in linea con la realtà avellinese. Sicuramente il tifoso sarà invogliato ad andare allo stadio anche perché le costruzioni di nuova generazione sono coperte al 100%. Inoltre avere diversi comfort farebbe vivere un’esperienza totalmente nuova: non si va a vedere solo una partita di calcio, ma un vero e proprio spettacolo. Poi una novità del genere potrebbe aprire un mondo alla città di Avellino, come ad esempio l’alta velocità: sono tante novità concatenate tra di loro. Insomma, il nuovo stadio rappresenterebbe una grande occasione di crescita e di sviluppo per il nostro territorio, una vera svolta”.
Per concludere, crede che la costruzione del nuovo stadio ad Avellino possa procedere spedita senza intoppi che si vedono in altre realtà?
“In primis va detto che c’è un forte legame tra città e imprenditori proprietari della società, ovvero la famiglia D’Agostino. E’ importante anche il fatto che si tratti di costruttori, che i rapporti col comune siano buoni. Ci sono fattori positivi che spingono in questa direzione, è un’occasione storica che difficilmente si ripete in altre realtà. Un altro aspetto fondamentale è che il proprietario deve amare il calcio e la società: non si fa solo per motivi economici, ma deve esserci un legame forte col territorio, qualcosa di più di un investimento di impresa. E questo sembra essere uno di questi casi”.
Si ringrazia il professor Fabio Amatucci per la disponibilità e cordialità.
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