di Laura Della Pasqua
1. È vero che la pandemia sta per finire?
2. Le terapie contro l’osteoporosi possono incidere sull’efficacia del vaccino?
3. Perché con Omicron ci si può contagiare una seconda volta?
1. È vero che la pandemia sta per finire?
Le rilevazioni sui contagi certificati dai test indicherebbero che la curva pandemica sia in flessione e che ci stiamo avvicinando verso la fine del tunnel. Vari istituti di ricerca prospettano questa ipotesi, ma le istituzioni sanitarie si mantengono caute, anche se si stanno allentando progressivamente le restrizioni. Il peggio è davvero alle nostre spalle o la regressione del virus dipende dall’arrivo della primavera e c’è il rischio che il prossimo autunno il Covid riesploda? Magari con una nuova variante? Abbiamo girato la domanda all’immunologo Mauro Minelli, specialista in Allergologia e coordinatore della sezione meridionale della Fondazione Italia di Medicina personalizzata.
Certamente con l’arrivo della bella stagione i contagi subiranno un calo, come già verificatosi nelle scorse annate. A questo scenario si deve aggiungere, però, la maggiore virulenza di Omicron che potrebbe incidere, almeno nei prossimi mesi, sull’aumento d’incidenza paragonato alle scorse primavere. Per quanto concerne, invece, il possibile aumento di contagi in autunno, è verosimile che accada rispetto ai mesi estivi ma con il progressivo aumento della copertura vaccinale nei bambini e negli adulti in termini di terze dosi, la situazione potrà essere tenuta maggiormente sotto controllo.
Un invito a non considerare finita la pandemia viene dall’Ecdc, l’organismo europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. La direttrice Andrea Ammon ha detto che «la pandemia non è finita, c’è il rischio di nuove varianti». E avverte che «per ridurre la contagiosità bisogna mantenere le mascherine nei luoghi chiusi. Bisogna tenere alta l’attenzione». Quindi è in disaccordo con l’ipotesi dell’abolizione dell’obbligo della protezione, al termine dello stato di emergenza, cioè a fine marzo.
Più ottimista invece l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, secondo cui “la fase acuta della pandemia potrebbe finire a metà 2022”.
2. Le terapie contro l’osteoporosi possono incidere sull’efficacia del vaccino?
L’osteoporosi colpisce in Italia circa 5 milioni di persone, di cui l’80% sono donne in post menopausa. Ma la fragilità ossea interessa anche le giovani. Ben il 31% ha meno di 60 anni. Le fratture da osteoporosi hanno conseguenze rilevanti, sia in termini di mortalità sia di disabilità motoria, con costi rilevanti, sociali e sanitari. Alcuni lettori ci hanno chiesto se l’osteoporosi è un fattore di rischio per il Covid e se le terapie possono interferire con l’efficacia del vaccino. La SIOMMMS, la Società dell’Osteoporosi e del Metabolismo minerale, ha stilato alcune linee guida.
L’osteoporosi non rappresenta un fattore di rischio, né per l’infezione né per lo sviluppo di forme più severe di Covid. Il fatto di essere affetti da osteoporosi non rappresenta attualmente, in assenza di altri fattori (età avanzata/ condizioni di estrema vulnerabilità conseguente ad alcune patologie) un criterio di massima priorità per il vaccino.
Nessun rischio dalle terapie. Le terapie contro l’osteoporosi non determinano un aumento del rischio di infezione, né tantomeno un aumento del rischio di sviluppare forme più severe del virus. Anzi, alcuni studi sembrano mostrare un’associazione tra bassi livelli di vitamina D ed il rischio di contrarre l’infezione anche nelle sue forme più gravi.
Le terapie non incidono sull’efficacia del vaccino. Non vi è alcuna evidenza che le terapie riconosciute da AIFA, sia farmacologiche che non farmacologiche (tra queste ultime in particolare calcio e vitamina D), interferiscano con l’efficacia del vaccino, né che il vaccino interferisca con le terapie. Tuttavia, l’uso di alcuni farmaci per l’osteoporosi può talora comportare effetti collaterali difficilmente distinguibili da quelli dovuti al vaccino. Le terapie potranno pertanto in alcuni casi subire delle minime modifiche.
Calcio e vitamina D
Se si sta assumendo calcio e vitamina D non c’è necessità di modificare né sospendere tale terapia. È importante assumere vitamina D e calcio (qualora l’apporto alimentare non sia sufficiente), anche per garantire l’efficacia dei farmaci per osteoporosi, oltre che per i ricono- sciuti effetti immunomodulatori della vitamina D.
SERM
È il Modulatore selettivo dei recettori degli estrogeni (raloxifene o basedoxifene). Se si sta assumendo un SERM si deve sapere che sulla base delle attuali conoscenze tale terapia non interferisce con i vaccini e pertanto non vi è necessità di interrompere la sua assunzione in caso di vaccinazione.
3. Perché con Omicron ci si può contagiare una seconda volta?
La variante Omicron si trasmette con grande velocità anche se produce effetti meno gravi della Delta. Non sono rari i casi di persone che dopo la guarigione siano stati contagiati una seconda volta. Perché accade? Numerosi lettori ci hanno posto questa domanda chiedendo un chiarimento. Ne parliamo con l’immunologo, Mauro Minelli:
Come mai la varicella rende immuni a vita chi la contrae e invece per Omicron non accade lo stesso?
SARS Cov-2 non è esattamente il virus della varicella-zoster che, differentemente dal nuovo Coronavirus, muta poco e per questo, dopo aver infettato una persona, conferisce a quest’ultima un’immunità permanente e dunque in grado di escludere nuove ricadute.
Quindi il Covid si comporta in maniere differente dalle classiche esantematiche dell’infanzia?
Nel caso del Covid, che inizialmente era datato 2019 ma che poi è mutato più e più volte nell’arco temporale di due anni, le reinfezioni sono da imputare proprio a queste progressive mutazioni che rendono il nuovo ceppo notevolmente diverso da quelli che lo avevano preceduto e, pertanto, in grado di eludere le difese che il sistema immunitario aveva creato “su misura” per la variante precedentemente infettante. E poi c’è anche da considerare l’ipotesi tutt’altro che remota che, invece di una seconda infezione prodotta dalla stessa variante che aveva procurato la prima, possa trattarsi della riaccensione di quest’ultima che, seppur decisamente attenuatasi sul piano clinico, dopo qualche giorno torna in auge con sintomi uguali o anche più intensi di quelli manifestatisi nel corso della prima infezione che erroneamente si era pensato potesse essersi negativizzata. E in questi casi parlare di reinfezione certo non è corretto.