di Laura Della Pasqua
1. Chi è guarito rischia la trombosi?
2. Il fumo aggrava la malattia?
3. Verso la fine della pandemia o nuova ondata in autunno?
1. Chi è guarito rischia la trombosi?
A distanza di circa due anni dalla sua comparsa iniziano ad arrivare i primi risultati degli studi di follow-up post COVID-19. Tra i più completi c’è quello pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine condotto su 1192 pazienti in Cina colpiti da Covid durante la prima fase della pandemia, di cui il 68% ha mostrato sei mesi dopo essersi ammalato almeno un sintomo di long Covid. Tra i vari effetti del Covid, dopo la guarigione, quei sintomi noti come Long Covid, c’è anche il rischio di trombosi. Chi colpisce e quale terapia affrontare per mettersi in sicurezza? Abbiamo girato la domanda al responsabile dell’Unità operativa di Chirurgia vascolare di Humanitas Gavazzeni, Giovanni Esposito che ha approfondito questa tematica.
La malattia, nei casi più gravi può innescare una forte risposta infiammatoria, in grado di dar vita a fenomeni di trombosi. Questi, oltre a rappresentare un rischio nella fase acuta dell’infezione, possono nel tempo lasciare il segno sugli organi colpiti. Un simile aspetto, unito a una possibile reazione autoimmune indotta dal virus, rientra tra i principali indiziati alla base del Long-Covid. Lo studioso del Gavazzeni sottolinea che “le alterazioni del sistema della coagulazione, influenzano anche la capacità di aggregazione delle piastrine e quindi facilitano l’insorgenza di trombosi o più raramente, di emorragie”.
Per quanto tempo dopo la guarigione si è a rischio?
Recenti studi pubblicati sulla rivista scientifica Blood Advances e sul British Medical Journal mostrano come il Covid-19 aumenta il rischio di trombosi venosa profonda fino a tre mesi dopo la fine della malattia, di embolia polmonare nei sei mesi post-Covid e di eventi emorragici nei due mesi successivi al test negativo.
A quali sintomi dobbiamo stare attenti?
Per i paziente guariti dal Covid-19 così come per ogni altro paziente è molto importante riferire al proprio medico ogni sintomo. Prestare particolare attenzione alla comparsa di gonfiore di un arto (edema), dolore, rossore e aumento della temperatura della zona colpita. Difficoltá respiratorie, affanno, dolori toracici possono essere segnali di un quadro più complicato.
C’è il rischio anche con il Covid lieve?
Gli studi scientifici dimostrano come gli eventi tromboembolici siano più frequenti nelle persone anziane, pluripatologiche, soprattutto quelle colpite nella prima ondata quando la copertura vaccinale era bassa e le terapie non ancora perfezionate. Il rischio di trombosi nelle persone che erano state gravemente malate di Covid era 290 volte maggiore del normale e sette volte maggiore del normale, dopo il Covid lieve.
Quali terapie?
Attualmente esistono numerosi studi scientifici che sembrerebbero andare a sostegno dell’utilità di una tromboprofilassi per evitare eventi trombotici, specialmente per i pazienti ad alto rischio, e sicuramente rafforzano l’importanza della vaccinazione. Dobbiamo ancora aspettare i risultati degli studi sugli effetti del long Covid sui vari organi per poter utilizzare su larga scala un trattamento preventivo.
Possono esserci recidive?
Come per tutte le malattie tromboemboliche, sia che si tratti di sindrome post Covid che di trombosi venosa profonda dovuta ad altre cause, è possibile una recidiva. Non sappiamo ancora se nel post Covid il rischio di recidiva di una malattia tromboembolica sia maggiore. Ci troviamo di fronte a una patologia “giovane” della quale sappiamo ancora poco.
2. Il fumo aggrava la malattia?
«Il fumo è causa dello sviluppo di forme più gravi dell’infezione da Coronavirus». È quanto afferma il Responsabile del Laboratorio di Epidemiologia degli Stili di Vita, dell’Irccs Mario Negri, Silvano Gallus, che è stato incaricato dall’Oms di studiare il rapporto tra Covid e fumo. «I fumatori come gli ex fumatori, hanno un rischio tra il 30 e 50% in più degli altri di avere un Covid severo o di morire. Una buona parte dei 6,2 milioni di morti per il virus sono attribuibili al fumo. Dopo il Covid è stato rilevato un aumento del consumo di tabacco» afferma Gallus.
Studi effettuati in collaborazione con il Prevention and Research Institute (ISPRO), il Tobacco Free Research Institute Ireland, e l’Instituto Català d’Oncologia, hanno dimostrato che il fumo è associato a un aumento del rischio di sviluppare una sindrome da distress respiratorio acuto. Uno studio condotto su 1099 pazienti ha documentato che quelli con sintomatologia grave, al momento dell’ospedalizzazione, il 31,7% si dichiarava fumatore e il 14,5% non fumatore. Inoltre, tra coloro che avevano avuto bisogno di ricovero in terapia intensiva e l’uso di ventilazione meccanica, o erano deceduti, il 16,2% era fumatore e il 4,7% non lo era. In un altro studio condotto su 78 pazienti con polmonite da Covid-19, è emerso che il 27,3% degli infettati fumatori non ha mostrato miglioramenti dopo 2 settimane, rispetto al 3% di coloro che non hanno mai fumato. Quindi, tra i vari fattori di rischio per evitare una prognosi più grave di Covid-19 il fumo sembra essere quello più importante, anche se potrebbe non essere direttamente correlato all’incidenza della malattia causata dal virus.
3. Verso la fine della pandemia o nuova ondata in autunno?
Siamo agli ultimi colpi di coda del virus o è solo una sosta temporanea favorita dal caldo estivo e dal maggior tempo trascorso dalle persone in luoghi aperti? Gli esperti sono divisi tra chi sostiene che in autunno ci sarà una ripresa dell’espansione del Covid, determinata soprattutto dalle varianti (negli Stati Uniti si attendono 100 milioni di contagiati per l’autunno) e chi invece ritiene che la carica virulenta si stia perdendo e il virus entrerà a far parte delle malattie respiratorie di ogni inverno, al pari dell’influenza. Abbiamo girato la domanda al genetista Paolo Gasparini, presidente della Società di Genetica che è molto cauto nelle previsioni.
È difficile dire se siamo alle ultime battute della pandemia, a quel fase del ciclo evolutivo ma mi stupirebbe se tornassimo indietro. Il numero di soggetti immuni naturalmente e vaccinati sta crescendo, ma al tempo stesso le varianti sono molto contagiose. Bisogna ragionare in un contesto globale e internazionale. Continuano a esistere serbatoi di popolazioni nel mondo, poco vaccinati e lì si possono sviluppare me varianti che si espandono nel mondo.
L’abolizione delle restrizioni, fino alla mascherina, porterà un aumento dei contagi?
L’Inghilterra da tempo ha tolto i sistemi di contenimento e non ha quadro più grave del nostro. I croati da mesi sono senza restrizioni e non hanno una situazione peggiore, forse perché intervengono più fattori insieme, ambientali e legati all’immunità del singolo. È chiaro se si guarda alla storia delle pandemie dopo un po’ la popolazione diventa più resistente e il virus si adatta. Con il passare degli anni si ha questa sorta di aggiustamento.