di Laura Della Pasqua
1. Il virus aumenta il rischio di infarto
2. Il virus è cambiato, addio paura
3. Case farmaceutiche allo scontro sui contratti
1. Il virus aumenta il rischio di infarto
Il Covid danneggia il cuore e uno studio americano chiarisce come. Stress ossidativo, infiammazione, alterazione dei battiti, compromissione della funzione di pompa di sangue e ossigeno agli altri tessuti, sono alcuni degli effetti prodotti dall’infezione. A descriverli sono Andrew Marks, cardiologo e professore di biofisica alla Columbia University, e Steven Reiken, ricercatore del laboratorio di Marks, autori insieme ad altri colleghi di uno studio che sarà presentato a San Diego, in California, al 67esimo meeting annuale della Biophysical Society.
La malattia può causare problemi cardiaci potenzialmente letali, spiegano i ricercatori. Gli studi suggeriscono che le persone con Covid, rispetto ai non infettati, corrono un rischio maggiore del 55%, di subire un evento cardiovascolare grave come infarto, ictus o morte. Hanno anche più probabilità di manifestare aritmie o miocardite, ossia infiammazione del muscolo cardiaco, potenzialmente letali. I ricercatori hanno riscontrato delle modifiche in una proteina chiamata RyR2, responsabile della regolazione dei livelli di ioni calcio nel cuore. Il cuore, come tutti gli altri muscoli, ha bisogno di calcio per contrarsi. In particolare, le “vie del calcio” sono essenziali per la contrazione coordinata di atri e ventricoli. Quando l’equilibrio del calcio salta, possono insorgere aritmie o insufficienza cardiaca. E allora l’infarto è dietro l’angolo.
2. Il virus è cambiato, addio paura
A tre anni dall’inizio della pandemia, la paura è archiviata. Il virus, dopo tante mutazioni, ora sembra più una influenza un po’ più grave che un mostro pronto a colpire. Francesco Vaia, direttore generale dell’Istituto nazionale Malattie infettive Spallanzani di Roma (la struttura che per prima ha accolto i contagiati nel 2020 e isolato il ceppo del virus in Italia) lancia segnali di ottimismo: “Il virus che abbiamo incontrato nel 2020 non esiste più. Ripeto da tempo che non dovremmo più nemmeno chiamarlo Covid-19. Ho proposto provocatoriamente il nome di Covid-23 perché ci troviamo in una fase completamente diversa rispetto a quella iniziale”. La diversità, spiega Vaia, è che ora “la malattia si manifesta prevalentemente nelle vie aree superiori, come un’influenza e può essere pericolosa solo in persone molto anziane, con patologie croniche già acclarate o in pazienti non vaccinati”.
I numeri gli danno ragione. “In una struttura dove raccogliamo malati da tutta la regione contiamo oggi appena 6 pazienti con complicazioni da Covid in rianimazione”. Il virologo, Massimo Clementi, a lungo direttore del laboratorio di Microbiologia dell’ospedale San Raffaele di Milano, mette in guardia da nuovi pericoli. “Tutti i virus arrivano all’uomo dal mondo animale e fanno danni: la loro tendenza allo spill-over, ovvero alla tracimazione nella specie umana, è ciò con cui dobbiamo fare i conti. Questo passaggio può non avvenire mai, o avvenire senza conseguenze, i virus possono rimanere come innocui compagni di viaggio, oppure andarsene. Ma ne arriveranno altri”. Ciò che il Covid ci dovrebbe aver insegnato è “monitorare l’interfaccia tra natura e uomo da dove potrebbe partire la prossima pandemia. Gli animali vanno studiati e i comportamenti umani vanno controllati e modificati”.
3. Case farmaceutiche allo scontro sui contratti
La regressione del virus e il calo del numero delle vaccinazioni, ha determinato un eccesso di dosi rispetto alla domanda. Siccome l’emergenza sembra alle spalle, i Paesi Ue hanno chiesto alla Commissione Europea di rinegoziare, o addirittura cancellare, i contratti siglati con le case farmaceutiche per la fornitura dei vaccini contro il Covid. Ma le aziende del farmaco non ne vogliono sapere e sottolineano che nonostante la situazione sia cambiata, in meglio, ci sono contratti precisi e firmati da rispettare. A questo si aggiunge un particolare rivelato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, ovvero che qualora un cittadino citi in giudizio una casa farmaceutica per un effetto collaterale del vaccino, gli Stati sono costretti a pagare le spese legali in cui incorrono i produttori, in pratica gli avvocati. I contratti, stipulati in piena emergenza, si stanno rivelando molto onerosi dal momento che hanno imposto ai Paesi Ue di acquistare dosi in quantità importanti non potendo prevedere l’andamento della pandemia. Nonostante la Commissione europea stia cercando di giungere a un accordo di mediazione con le case farmaceutiche, al momento queste non intendono fare marcia indietro.