Immaginiamo un calciatore che, dopo essere guarito da un brutto infortunio, non rientra più in campo. Ogni scusa è buona per tenerlo in panchina, eppure lui sta bene, ha voglia di giocare, la sua energia è tornata quella di prima. Lo stesso accade ogni giorno a milioni di persone nel mondo che si sono lasciate alle spalle una malattia grave, come il cancro, ma nonostante la “vittoria” sono vittime di discriminazione nell’accesso a servizi come l’ottenimento di un mutuo, l’assunzione in un posto di lavoro, la stipula di un’assicurazione sulla vita o l’adozione di un figlio.
«È come se queste persone indossassero un’etichetta, simile a un marchio, che impedisce loro di riprendere una vita normale», commenta la professoressa Adriana Bonifacino, responsabile dell’Unità di Senologia presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma e presidente della onlus IncontraDonna. «Eppure il prezzo della malattia oncologica lo hanno già pagato da tempo e oggi vantano la stessa aspettativa di vita di chiunque altro». Insomma hanno diritto all’oblio.
Che cos’è il diritto all’oblio
È qui che entra in gioco il cosiddetto diritto all’oblio, ovvero la possibilità concessa a chi ha superato definitivamente la malattia di non dichiararla più dopo un certo periodo di tempo. «In alcuni paesi, come Francia, Olanda, Portogallo, Belgio e Lussemburgo, questo diritto è normato da un’apposita legge, che in Italia invece manca», riferisce la professoressa Bonifacino.
Eppure, nel nostro paese, ci sono tre milioni e 600 mila persone con una diagnosi oncologica, di cui circa un milione si possono considerare guarite. «Infatti, se un tempo il tumore rappresentava una malattia che lasciava poche speranze di sopravvivenza, al punto da essere definito “male incurabile”, oggi moltissime neoplasie sono trattabili e altre hanno un’aspettativa di vita lunga». Per questo è importante che le persone libere da malattia possano tornare a un’esistenza piena e normale, senza dover dichiarare di essere stati pazienti oncologici in passato, informazione oggi obbligatoria per la stipula di molti contratti e la richiesta di alcuni servizi.
I settori più critici
Attualmente, gli ex pazienti oncologici hanno difficoltà ad accendere un mutuo, a chiedere il finanziamento per una piccola impresa, a stipulare un’assicurazione per polizza sanitaria e ad adottare un figlio, seppure quest’ultimo diritto sia sempre sottoposto al vaglio del Tribunale dei minori che valuta l’intero ambito familiare e non solo quello inerente la salute. «È impensabile che un bambino che ha superato una leucemia o un linfoma, dopo tutto il dolore che questo ha comportato per lui e per la sua famiglia, si veda negato un diritto a distanza magari di vent’anni, perché considerato ancora oncologico: la considero una sconfitta per tutti noi, oltre che per l’innovazione farmacologica frutto della ricerca, grazie alla quale oggi abbiamo lunghe sopravvivenze e, di conseguenza, guarigioni», considera la professoressa Bonifacino.
Quando può essere esercitato il diritto all’oblio
Ogni tumore ha caratteristiche diverse e richiede un differente percorso di cura: ce ne sono alcuni che possono essere curati in alcuni mesi, altri in pochi anni, altri ancora richiedono più tempo, altri infine si “cronicizzano” ma garantiscono una qualità di vita pari quasi a chi non è malato. Quando, allora, potrebbe scattare il diritto all’oblio? «In generale, un paziente oncologico viene considerato “guarito” quando raggiunge la stessa aspettativa di vita della popolazione generale. Questo avviene dopo meno di cinque anni dal termine delle cure per il cancro della tiroide e meno di dieci anni per il cancro del colon e il melanoma, mentre occorrono oltre quindici anni per tumori della vescica e del rene, linfomi non-Hodgkin, mielomi e leucemie, soprattutto per le varianti croniche. Circa vent’anni, invece, servono per alcuni tumori frequenti, come quelli della mammella e della prostata, perché il rischio che la malattia si ripresenti si mantiene molto a lungo, seppure sia esiguo». Detto ciò, la legge per il diritto all’oblio permetterebbe di non considerare più un paziente oncologico chi ha avuto un tumore solido in età pediatrica dopo cinque anni dal termine delle cure e chi ha avuto un tumore solido in età adulta dopo dieci anni.
Cos’è la deindicizzazione
Nella maggior parte dei casi (come al momento di stipulare un’assicurazione), è il singolo interessato a dover dichiarare le proprie condizioni di salute, anche pregresse, e qualunque omissione potrebbe comportare un mancato risarcimento. Altre volte i dati possono risultare dal sistema informatico, per cui occorrerebbe una deindicizzazione, cioè una cancellazione delle informazioni personali anche da qui.
«Certamente, per un paziente oncologico i dati non possono essere rimossi in sede Inps, perché chi ha avuto una patologia oncologica deve necessariamente mantenere i diritti sulla salute acquisiti a causa della malattia: basti pensare al codice 048, che indica l’esenzione dal ticket legato alla patologia oncologica per farmaci, visite ed esami appropriati, ma anche alla legge 104 e all’invalidità civile. Su tutti questi temi, nelle sedi opportune, andrà sicuramente fatta una riflessione attenta per non metterli in contraddizione con il diritto all’oblio», commenta la professoressa Bonifacino.
Che cosa possiamo fare
«La Fondazione AIOM e altre associazioni, tra cui IncontraDonna, stanno lavorando con le parti istituzionali per la proposta di un disegno di legge», spiega la professoressa Bonifacino. «Fino ad oggi abbiamo raggiunto 50 mila firme online, ma vorremmo raggiungerne 100 mila da poter presentare alla Presidenza del Consiglio entro il 2022». Per contribuire a questa battaglia di civiltà bastano pochi secondi, firmando sul sito dedicato al diritto all’oblio. Ma allo stesso indirizzo è anche possibile raccontare la propria storia e lasciare una testimonianza, spiegando quando ci si è ammalati, se sono state subite discriminazioni e perché si ritiene sia importante questa legge. «Insieme possiamo farcela», conclude l’oncologa.
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