Di Virginia Carrella
La giornata in memoria dei diritti della donna è stata celebrata da molti, sui social e non, dedicando un pensiero a quelle donne che in questi giorni combattono per difendere la propria nazione. Le donne ucraine, infatti, sono diventate icone di coraggio e ferocia negli ultimi tempi. Sui giornali di tutto il mondo sono apparse foto di combattenti, armate di mitra e tute ermetiche, pronte ad affrontare il nemico russo. “Combattiamo per il nostro Paese, per la nostra patria, per difendere i nostri cari dalle invasioni delle milizie russe”.
Non tutte, però, indossavano l’armatura.
Molti scatti, molti video, raffigurano, invece, donne con bagagli, bambini sulle spalle, che fuggono verso la frontiera. Donne che sono state costrette ad abbandonare la casa, il lavoro e le speranze di un futuro sereno, per fuggire dai pericoli che la guerra minaccia di apportare alle vite dei propri figli. Immaginate di dover fare le valige e partire, da un giorno all’altro. Ignorando la meta d’arrivo, il tempo di permanenza, il trasporto attraverso il quale viaggiare. Senza sapere se ad un eventuale ritorno sarà possibile riavere, o almeno rivedere, la propria dimora. Senza certezza di ritorno, e neanche di arrivo. Rispondevo, in occasione dell’8 marzo, a coloro che esclamavano (con un’ironia poco percepita, a mio parere) “la guerra è donna”, che la guerra non è donna, la guerra è combattuta, con o senza armi, dalle donne che sono costrette a scontare le conseguenze di scelte economiche, tribali e infondate del genere umano, che nella maggior parte dei casi, non usano armi, ma ne portano il peso. Ognuna eroina a modo proprio, come la bambina ucraina di 7 anni che canta nella propria lingua “Let it go” colonna sonora del film Disney Frozen, per allietare i bambini in un bunker per rifugiati.
Senza farne una questione politica, o entrarne nel merito, dinanzi a questi argomenti ritengo sia meglio tacere quando non si hanno nozioni a sufficienza, semplicemente il mio pensiero per l’otto marzo, data puramente simbolica di una battaglia che ha caratterizzato milioni di donne nei secoli scorsi, è andato a tutte quelle bambine, ragazze, giovani madri, lavoratrici, nonne, studentesse, che vedono i propri progetti, sogni e ambizioni, svanire o allontanarsi sempre più, a causa di una , come la chiamo sempre, lotteria biologica. Le donne siriane, alcune delle quali nate con la guerra; quelle dello Yamen, dell’Etiopia, della Libia e potrei continuare elencando tutti i paesi nei quali i conflitti hanno la meglio sull’istruzione, la cultura e la vita. Dove c’è guerra c’è morte, distruzione
e l’umanità lascia il posto al nemico più difficile da combattere, l’ignoranza.
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