Mai, come con il Governo Draghi, al Parlamento vengono limitate se non sottratte le funzioni relative alla sovranità popolare di cui è titolare per la nostra Costituzione. Viene consultato poche volte e di norma viene solamente informato dell’azione governativa. La questione dell’ulteriore fornitura delle armi all’Ucraina è uno degli ultimi episodi e la risoluzione approvata è frutto più delle intese dei partiti della maggioranza che del dialogo parlamentare. Travaglio, sul suo giornale, ne fa una questione di fondo e ne parla ogni settimana. Nel dibattito politico, tuttavia, non ci si domanda mai il perché di questo stato di cose e non si analizzano le cause che l’anno determinato.
Quella che stiamo vivendo è una fase politica abbastanza anomala che vale la pena, seppur molto brevemente, di esaminare. Nelle ultime elezioni politiche del 2018 non vinse una coalizione politica ma si affermò prepotentemente – con il 33% e la maggioranza relativa dei parlamentari eletti,- il M5S che aveva condotto la sua battaglia all’insegna di rivoluzionare il Parlamento. Non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dovette allearsi con un altro partito. Scelse la Lega anche per l’0pposizione di Renzi che combatté un’eventuale alleanza con il PD. Nacque il primo governo Conte, finito con il Papeete e poi il secondo Conte con il PD. Poi cadde anche il secondo Conte per il ritiro della fiducia di Renzi. Il Parlamento non fu, poi, in grado di formare una maggioranza e Mattarella, per non sciogliere le Camere, chiamò Draghi per fronteggiare l’emergenza del Covid e, poi, la guerra in Ucraina. Tutti partiti, con la sola eccezione di F.d,I e l’estrema sinistra entrarono in maggioranza. Il Parlamento, poi, non fu neanche in grado di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica e si rivolse, con il cappello in mano, a Mattarella chiedendogli di accettare le rielezione.
Draghi con una maggioranza larghissima ma eterogenea, che va dalla destra alla sinistra passando per il centro, e con un gruppo di ministri tecnici ha impostato una linea più tecnica che politica faticando non poco a tenerla in piedi. Una linea che se fosse stata portata alla discussione in Parlamento non ne saremmo mai usciti anche se concordata con i capi dei partiti.
A questa ragione principale se ne aggiungono altre. La crisi dei partiti, soprattutto del M5S, e in parte della Lega; la forte riduzione del numero dei parlamentare approvata per legge costituzionale; il limite dei due mandati per gli eletti del M5S; l’inadeguatezza di molti parlamentari e ministri politici. L’esercizio delle funzioni senza limite di mandato (art.67 Costituzione) e il fondato timore di non essere eletti hanno fatto il resto. I parlamentari hanno pensato a garantirsi prima il vitalizio e poi ad accasarsi pensando al proprio tornaconto.
Mai come in questa legislatura tanti parlamentare hanno cambiato casacca e molti più volte. Compresa l’ultima scissione di Di Maio sono stati 365 su un totale di 945: una cifra enorme.
Altra ragione di fondo è che i parlamentari non rappresentano più i propri elettori perché non vengono eletti nei loro collegi elettorali ma nominati a Roma dai loro capi bastoni ed a loro solo rispondono perdendo così ogni rapporto con il territorio. Se non si corregge la legge elettorale nel senso di ridare agli elettori il diritto di scegliersi i propri parlamentari la nostra resta una democrazia malata con la conseguenza di avere un parlamento “scassato” che abdica alle proprie funzioni di sovranità popolare e cessa di essereil filtro tra il popolo e il potere.
di Nino Lanzetta
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