Di Virgilio Iandiorio
Azar Nafisi, scrittrice iraniana che da parecchio tempo vive negli USA, ha un culto particolare per Nabokov, forse perché nello scrittore russo, ritrova una risposta all’enigma dell’esilio, che li accomuna. Quest’anno è stata pubblicata la traduzione italiana del suo libro “Quell’altro mondo- Nabokov e l’enigma dell’esilio”. L’esule viene privato dei suoi beni, della sua famiglia, ma per la Nafisi c’è una privazione maggiore dei beni materiali. La confisca della storia. “Il regime, per giustificare le proprie azioni e privare noi iraniani della nostra realtà, doveva confiscare la nostra storia; se il passato non era quello che conoscevamo, ma quello riscritto dalla Repubblica islamica, allora il presente, confiscato e rimodulato dalla Repubblica islamica, era giustificato”. “Il mio paese d’origine -sottolinea la scrittrice- mi è stato portato via due volte prima dal regime e poi dall’ignoranza dei pregiudizi intellettuali di ideologi, politici ed esperti”. Nei regimi totalitari è talmente forte l’indottrinamento, a cominciare dalla tenera età dei fanciulli, che i rischi sono più gravi:” Ancora più spaventoso era il pericolo che noi, vittime di questa mentalità, potessimo senza volerlo assumere gli stessi atteggiamenti, adottare le stesse tattiche e la stessa retorica, diventare altrettanto ciechi e inflessibili verso il prossimo”. Non si creda che solo sotto regimi totalitari si corrano i pericoli della confisca della storia. Chi va al potere con l’intenzione di fare piazza pulita del passato, perché deve creare il nuovo, si vede costretto a crearsi nuovi “miti”. Una forma di moderna iconoclastia. Se è facile distruggere le immagini del passato, è molto più difficile dare un senso ai nuovi “miti”. Prendiamo la nostra storia locale. Si passa dalla scarsa o nulla conoscenza di essa, al riempirla di tutti gli eventi del mondo. Quanti più personaggi famosi della storia nazionale abbiano lasciato traccia di una loro fugace presenza, o interesse, in un paese piccolo, tanto più grande è il prestigio di questo. Come le reliquie per contatto; qualsiasi cosa tocchi una sacra reliquia diventa essa stessa una reliquia. Nicola Gambino, il parroco archeologo come lo definì Amedeo Maiuri, in tutti i suoi studi di storia locale, ha richiamato sempre l’attenzione sull’importanza della conoscenza di essa. Un lavoro per gli addetti ai lavori? Per niente. Nella monografia su “Fontanarosa e la Madonna della Misericordia edito nel 1980. Mons. Gambino scrive:“ Se tutto quello che forma il nostro passato è un bene culturale, vuol dire che è di tutti e va gestito dalla comunità cittadina con rispetto e cura perché è il patrimonio di base della nostra carta d’identità che va arricchendosi col passare del tempo. Proprio per tale ragione mi auguro che lo studio presente non rimanga l’ultimo, a rimproverare per parecchio tempo ad altri la indolenza e l’abbandono o lo scarso amore per il proprio paese…La sua identità [del paese] sta infatti nella sua storia, che poi ha le radici nel territorio, nelle case, nelle chiese, nella mentalità che si è venuta formando dal modo di stare insieme. Così l’unità delle diverse comunità locali non comporta affatto una pesante uniformità”. Se la storia è un bene comune, è compito di tutti salvaguardarlo studiandolo. Ma possiamo giungere a risultati diversi? Ben vengano. Vuol dire che abbiamo esercitato liberamente il nostro giudizio. E l’abbiamo confrontato con gli altri.
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