ecco come ho sconfitto gli attacchi di panico

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di Roselina Salemi

«Il “Mostro” mi si è presentato per la prima volta nel 1982. Avevo sedici anni e nessuno parlava degli attacchi di panico, nessuno sapeva che cosa fossero. Il mio cuore saltò un battito, l’aria smise di entrare nei polmoni, stavo soffocando. Pensavo soltanto: “Non voglio morire”». Oggi Paola Perego, due matrimoni, due figli e una bella carriera televisiva (è stata conduttrice di Forum, La talpa, La vita in diretta, Domenica In), rivela con sincerità spiazzante un segreto mantenuto per trentasette anni, una malattia misteriosa, dai contorni indecifrabili. Parla dei suoi attacchi di panico in un libro fresco di stampa, Dietro le quinte delle mie paure (Piemme, 16,90 €).

Perché solo ora?

Perché gli attacchi di panico sono ancora un tabù. Ne soffrono in molti, anche nel mondo dello spettacolo, ma vivono, come ho fatto io, in una bolla di dolore, si vergognano. Quando ti rompi una gamba, gli altri capiscono, quando hai un attacco di panico chi non conosce il problema pensa che superarlo sia una questione di forza di volontà. È subdolo, non si vede. Sei in cima a una torre, atrocemente sola. Ne posso parlare perché sono guarita, anche se i segni restano: non si è mai liberi del tutto. Perché forse posso aiutare gli altri a rompere il silenzio, a riconoscersi, a chiedere aiuto. Venite tutti allo scoperto!.

Che cosa le hanno detto i medici all’inizio?

“Questa ragazza non ha niente”. Più avanti lo specialista diagnosticò un esaurimento nervoso, formula che voleva dire tutto e niente. Vivevo cullata dal Lexotan, prendevo psicofarmaci per non aver paura della paura. Purtroppo, reprimendo le cose brutte, anche quelle belle avevano contorni sfocati. Volevo fare la modella e mi presero subito: non me l’aspettavo. Non avevo una grande autostima, anzi mi sentivo inadeguata. A tredici anni mi avevano ingessato per via di una scoliosi con doppia curva dorsale e lombare. Tolto il gesso, ero dritta ma costretta a portare un busto di plastica rigida. Quando cominciai a sfilare, me lo toglievo la mattina e lo rimettevo la sera. Sì, avevo i miei segreti.

Come si è curata?

Ho cambiato vari medici, ho preso farmaci, ogni volta pensavo “forse questa è la cura giusta”, ho fatto terapia cognitivo-comportamentale, tre volte per quattro anni. Ho tenuto un diario (faceva parte della cura) e mi ha aiutato a tirare fuori l’angoscia, a darle una forma. Ho scritto ogni giorno, pagine su pagine che conservo ancora. Ho aumentato le sedute di psicoterapia quando sono rimasta incinta. Sì, perché la vita va avanti. Mi ero innamorata di Andrea (Carnevale ndr.), ci siamo sposati. Visto da fuori sembrava tutto perfetto. La soubrette e il calciatore, tanto lavoro in televisione. Il “Mostro” si è ripresentato con tutta la sua forza al momento del parto.

Che cosa è successo?

L’ho sentito arrivare. E ho avuto la forza di gridare: “non respiro!”. Ricordo l’ago nella vena e il Valium. Poi Giulia, mia figlia, sana e piena di capelli. Stessa cosa quando è nato Riccardo. È pazzesco, ma i due momenti più belli e importanti della mia vita sono stati anche i più difficili. Con Riccardo, ho sperimentato l’epidurale. Pensavo sarebbe andata meglio, invece no. Appena fatta l’anestesia locale, ho perso il contatto con una parte di me. Non sentivo più l’addome e le gambe, l’ondata di panico mi ha sommersa. Salvata dal Valium, anche quella volta. 

Com’è riuscita a lavorare?

Ogni giornata era una lotta per nascondere e prevenire i momenti che potevano rivelare la malattia ai colleghi o al pubblico. È andata avanti per trent’anni. Spesso mi dicevo: “stasera mi scoprono”. Non volevo che gli altri conoscessero la Paola malata. Per reazione ero super-allegra. A Buona domenica (sette ore di diretta) raccontavo una mezza verità: “Mi terresti queste gocce, sono delle cose naturali per rilassarmi”; “Sono omeopatiche”; “Ho mal di testa”, e strappavo l’etichetta per camuffare le confezioni. Ci sono molti pregiudizi nei confronti degli psicofarmaci…. Oltre agli antidepressivi, prendevo una medicina che impediva l’attacco improvviso del Mostro: dovevo averla sempre a portata di mano. Aumentai la dose durante il reality La talpa, quando le prove di coraggio dei concorrenti diventarono spaventose. Una volta, stavo per avere un malore in diretta davanti a tutt’Italia, e per fortuna dovevano mandare la pubblicità.

Riusciva a nascondere questo dolore anche ai figli?

Con Giulia e Riccardo recitavo la parte della madre perfetta. Trovavo scuse per non guidare (con un attacco di panico in mezzo al traffico si può morire), per non accompagnarli alle feste. Chiedevo favori agli amici. Non mi hanno mai visto prendere psicofarmaci. Soltanto l’anno scorso ho raccontato quello che ho passato. Non riuscivo neanche a fare una doccia se ero sola in casa… Sono guarita grazie a loro. Nel tentativo di essere migliore per i miei figli, mi sono accettata.

Lei ha attraversato momenti critici. Ha divorziato, si è risposata con Lucio Presta. Avete affrontato insieme il Mostro?

Lucio è stato straordinario. Sapeva sempre che cosa fare. Mi capiva dallo sguardo. In macchina, all’inizio della nostra storia, ho avuto un attacco nel bel mezzo dell’autostrada. Mi formicolavano le mani, il cuore scoppiava. Lucio si fermò in una piazzola, mi fece uscire, mise le mani sul mio viso creando un piccolo spazio buio tra di noi. Mi disse: “Questa è la casa, puoi dire tutto quello che vuoi”. E io riuscii a sussurrare: “Sto male”. Per la prima volta superai una crisi senza medicine. Da quel giorno, nelle situazioni complicate (ormai raramente) uno dei due chiede all’altro: “Facciamo casetta?”.

Quando ha capito di essere uscita dal tunnel?

Non lo so. Ricordo soltanto che qualche anno fa ho notato i colori, le foglie, l’aria, le cose intorno a me. Ho smesso di chiedermi: quando arriverà il prossimo attacco? Ho capito che il Mostro non era un vero nemico. Era una parte di me che voleva emergere e che io negavo. La cura giusta è la conoscenza di sé, oltre ai famaci. Credo mi abbia aiutato, senza saperlo, Pietro, il mio nipotino, il bimbo di Giulia, che è nato il 24 novembre 2018.

Davvero?

È una passione, vivo per lui. È il legame con i miei figli, la vita che si rinnova, il senso di tutto. Guardarlo mi fa sentire leggera, senza più zavorra. Se da mamma ero insicura, come nonna ho capito che niente mi avrebbe più spaventato. Sono Paola, sono io, riconciliata, piena di energia.

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Articolo pubblicato sul n. 19 di Starbene, in edicola e nella app dal 16 giugno 2020




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