Un tempo la gotta era considerata la malattia dei ricchi, perché affliggeva chi poteva permettersi un eccesso di calorie, selvaggina e bevande alcoliche. Da quando questi alimenti sono arrivati su tutte le tavole, l’incidenza della patologia è aumentata soprattutto negli uomini tra i 20 e i 59 anni e nelle donne in post-menopausa: secondo una stima della Società italiana di reumatologia, ne soffrono oltre 100mila italiani, ma sono oltre 5 milioni quelli a rischio, con un’incidenza in aumento in tutti i Paesi sviluppati e una prevalenza che oscilla tra lo 0,9% in Italia e il 3,9% negli Stati Uniti.
«La causa sta nell’eccesso di acido urico, il prodotto finale del catabolismo delle basi puriniche sia endogene, cioè prodotte dalle cellule dell’organismo, sia esogene, ovvero introdotte con l’alimentazione», spiega la dottoressa Fabiana Assunta Figus, reumatologa a Torino. «La maggior parte delle purine viene prodotta all’interno del corpo umano attraverso il catabolismo cellulare, mentre un’altra quota proviene dai cibi introdotti con la dieta, per lo più di origine animale».
Quali sono i livelli corretti di acido urico
In un quadro di normalità, l’acido urico viene eliminato con le urine e, idealmente, i suoi livelli nel sangue non dovrebbero superare i 5-6 mg/dl (anche se molti laboratori di analisi estendono il range ottimale fino a 7 mg/dl).
Addirittura, le linee guida americane suggeriscono di mantenersi intorno ai 5 mg/dl in chi presenta un elevato rischio cardiovascolare o depositi di acido urico nei tessuti extra-articolari (i cosiddetti tofi).
Perché può aumentare l’acido urico
Una sovrapproduzione o la ridotta eliminazione dell’acido urico possono determinare una condizione detta iperuricemia che, oltre ad aprire le porte alla gotta, è legata a un maggiore rischio di sviluppare patologie cardiache o renali.
Alla base possono esserci cause molteplici: insufficienza renale severa, aumento della morte cellulare in seguito a chemioterapia e radioterapia, utilizzo di alcuni farmaci (in particolare diuretici tiazidici e aspirina a basse dosi) o una dieta ricca in purine, seppure l’alimentazione sia un fattore di aggravamento, ma quasi mai l’unica causa.
Anche la genetica conta: ci sono persone che tendono “costituzionalmente” a eliminare poco acido urico, a produrne in eccesso o entrambe le cose. «Una curiosità è legata alla psoriasi, una malattia infiammatoria dove il turnover cellulare della pelle è accelerato», sottolinea la dottoressa Figus. «Questo abnorme processo di ricambio può determinare un aumento dei livelli sierici di acido urico, che andrebbe quindi sempre tenuto sotto controllo nei pazienti psoriasici».
Quali sono i sintomi dell’eccesso di acido urico
In molti casi l’eccesso di acido urico è del tutto silente e non crea alcun disturbo. Altre volte, invece, si deposita sotto forma di cristalli nelle articolazioni (soprattutto alluce, caviglie, ginocchia, polsi, gomiti e dita delle mani) o nei tessuti molli circostanti, causando attacchi acuti molto dolorosi: la pelle appare tesa, calda, arrossata e possono subentrare febbre, tachicardia e brividi.
Spesso, l’iperuricemia si accompagna a pressione alta, diabete e ipercolesterolemia, per cui richiede la modifica del proprio stile di vita, riducendo il peso e correggendo l’alimentazione. «L’acido urico può anche formare dei calcoli renali e talvolta provocare coliche vere e proprie, caratterizzate da un dolore acuto a un fianco e nella zona inguinale, seguito spesso dalla comparsa di sangue nelle urine e dall’espulsione del calcolo», descrive l’esperta.
L’iperuricemia, cosa fare
Se l’iperuricemia è asintomatica, se il paziente ha avuto meno di due attacchi di gotta nel corso dell’anno o se non sono presenti depositi di cristalli di urato monosodico nei tessuti molli extra-articolari, lo specialista può decidere di non trattare l’eccesso di acido urico, ma di monitorarne i livelli con qualche ritocco alla dieta (secondo le nuove linee guida americane del 2020).
Negli altri casi, invece, il farmaco più indicato è l’allopurinolo, che serve a ridurre la produzione di acido urico da parte dell’organismo, ma in caso di intolleranza l’alternativa è il febuxostat. «All’inizio della terapia, si può assistere a un peggioramento degli attacchi, perché i cristalli vengono mobilizzati nel sangue e questo può favorire la loro precipitazione nelle articolazioni, scatenando l’attacco», riferisce la dottoressa Figus.
«Per questo motivo, nelle prime settimane di trattamento, va somministrato contemporaneamente un antinfiammatorio, o meglio ancora la colchicina, per evitare la ricomparsa dei sintomi».
Nota importante: una volta iniziata, la terapia ipouricemizzante non va mai sospesa. «Anche se notiamo un miglioramento delle condizioni, perché gli attacchi di gotta scompaiono, deve essere sempre e solo lo specialista a stabilire l’opportunità di diminuire o sospendere il farmaco», tiene a precisare la reumatologa.
Quale dieta seguire
La dieta ideale elimina (o riduce al minimo) tutti gli alimenti ricchi in purine: organi interni degli animali, estratti e brodo di carne, volatili, alcuni pesci azzurri (come alici, aringhe e tonno), legumi secchi, spinaci e cibi conservati, dove spesso le purine vengono usate come additivi.
«Siccome l’eccesso di acido urico è legato a doppio filo con la sindrome metabolica, è bene curare la dieta anche per evitare sovrappeso, iperglicemia, ipercolesterolemia, trigliceridi oltre i limiti e pressione alta», suggerisce la dottoressa Figus. «A scopo precauzionale, dunque, è bene seguire un’alimentazione povera di grassi animali e zuccheri semplici, diminuendo formaggi, latticini, burro, margarina, uova, dolci, insaccati e scatolame».
Semaforo verde per pasta e riso non integrali, grissini, cracker, fette biscottate, cereali, latte e suoi derivati, come yogurt e formaggi soprattutto a basso contenuto di grasso, come asiago, crescenza, fior di latte, fontina, mozzarella, scamorza e grana Padano DOC, oltre a uova, verdure crude o cotte, frutta fresca e olio extravergine d’oliva.
«Da evitare, invece, alcolici, vino, bevande gassate e succhi di frutta confezionati, a cui va sempre preferita l’acqua nelle quantità di almeno 1,5-2 litri al giorno», conclude l’esperta.
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