di Leonardo Festa, docente di storia e filosofia
Eravamo abituati a ricordare il cinque, di maggio, per le chiare allusioni storiche e letterarie. Da quest’anno, invece, penseremo anche al quattro maggio di Giuseppe Conte. La “Fase 2” segna la fine del primo lockdown dell’era della globalizzazione. Se a dicembre guardavamo con velato dispiacere quanto accadeva in Cina, d’un tratto ci siamo ritrovati prigionieri a casa nostra, scoprendo che lo slogan “io rimango a casa” può significare cose molto diverse, o rappresentare addirittura un miraggio per i molti che una casa non ce l’hanno. Il virus ci ha messo per la prima volta tutti dalla stessa parte, ma in una situazione psicologica di incertezza. Ammettiamolo, non ne eravamo abituati, siamo sempre stati assistiti dagli apparati tecnici, fino a dimenticare che è la vita stessa ad essere precaria.
In questi cinquantacinque giorni di cattività domestica, ci siamo prima detti che sarebbe andato tutto bene e che tutto sarebbe tornato come prima, poi timidamente abbiamo ammesso che tutto sommato prima non stavamo poi del tutto bene, abbiamo cominciato a parlare di “nuova normalità”, oggi parliamo di ripartenza ma lo diciamo a bassa voce. Eppure mentre tutto sembrava immobile, molto è cambiato: per la prima volta, interi settori hanno cominciato a sperimentare lo smartworking, al netto dei problemi strutturali, legati ad una carente alfabetizzazione digitale e un digital divide ancora troppo elevato.
La scuola sta lavorando ancora con la didattica a distanza, espressione che racchiude un controsenso, perché allude al solo strumento attraverso cui si insegna, la rete, ma non alla didattica vera e propria, alle metodologie che dovrebbero garantire inclusione e istruzione per tutti. Si è presa consapevolezza che i social e i canali di comunicazione possono effettivamente essere strumenti per condividere buone pratiche e contenuti didattici, e non solo per assecondare narcisismi, Alessandro Barbero ha rubato la scena a tanti blogger, il Miur sta pensando di attivare una radio per i maturandi.
Gli ultimi sono diventati i primi. Con la pandemia si è capito quanto tanti lavori di solito poco considerati come colf, badanti e cassieri, siano importanti per la società, e come precari siano anche tanti nuovi eroi, come i ricercatori e gli infermieri. Al dibattito della politica si è sostituito quello dei leader. La scena politica è stata occupata solo da Conte, dai Presidenti di Regione e dai Sindaci. Di sicuro dopo questa fase il dibattito sull’autonomia delle Regioni verrà completamente ripensato, ma intanto è emerso che lo scenario attuale non garantisce ancora il rispetto del principio di sussidiarietà.
Il virus ha procurato così anche un dramma psichico: troppe verità in così poco tempo. Se davvero da qui in poi nulla sarà come prima, viene allora da chiedersi come cambierà la politica: chi avrà più potere, come esso verrà esercitato, quali saranno le priorità in agenda. Condizione necessaria per trovare le soluzioni rimane però partire dalle domande giuste, e ignorare quelle sbagliate. La presunta polemica Nord–Sud è un potente distrattore che non potrà condurci da nessuna parte perché semplicemente parte da una premessa che non ha senso. E vale lo stesso per la presunta questione Stato-Chiesa, dibattito che probabilmente non avrebbe occupato lo stesso spazio mediatico se la stessa istanza fosse provenuta dalla comunità mussulmana o ebraica. E non dovrebbero costituire una dicotomia le parole salute e lavoro (da questo punto di vista Taranto è divento il modello della scelta tra lavoro o la sopravvivenza), né politica e scienza.
E qui veniamo ad un punto nevralgico: sembra che la grande assente di questa prima fase sia stata proprio la politica. E certo, puoi anche governare a colpi di decreti, e trasformare la sorveglianza della politica in politica della sorveglianza, ma poi alla lunga in questo modo un sistema non lo reggi.
Lo stesso discorso vale per il contesto locale. Il Sindaco ha preferito lavorare alla costruzione di un Dream Team, profili di alto livello sui cui nomi non si discute. Ma il problema è metodologico, perché moltiplicare le nomine sembra al contempo ammettere una sfiducia verso giunta e maggioranza, per non parlare poi della sospensione del confronto democratico con l’opposizione, risolta solo grazie all’intervento del Prefetto.
Alcuni gesti di pura propaganda, come il documentario-spot realizzato in piena pandemia, e distribuzione di gelati e cornetti ci hanno riportato con la mente ad un anno fa, ma lì eravamo in campagna elettorale. La storia insegna che nei momenti di crisi, si è alla ricerca del leader, ma i leader sanno che quando lo spavento finisce ed emergono i problemi, non basta rincuorare e distribuire caramelle.
Bisogna ammettere che Festa ha mostrato di avere molto spirito di iniziativa e buona volontà, doti fondamentali per un primo cittadino, ma la città non ha votato solo per lui, e va compreso l’imbarazzo di una opposizione che ha deciso di agire in ordine sparso. Provo profonda ammirazione e stima per Montanile e Russo, che hanno deciso di dismettere i panni di consiglieri di opposizione per indossare quelli del medico, supportando il lavoro di prevenzione, il problema qui non è la loro scelta, ma che siano stati messi nella condizione di dover scegliere. Giustamente c’è chi, come Nicola Giordano, ha posto al centro del dibattito la questione nevralgica della riorganizzazione del Piano di Zona, perché mai come in questo momento diventa centrale ripartire dai servizi essenziali dei cittadini. Poi c’è anche chi in questi giorni ha interpretato alla lettera il lockdown scomparendo anche delle piazze virtuali o limitandosi a pubblicare sui social qualche ricetta. Forse un segnale di dissenso, forse più semplicemente una occasione sprecata.
La lezione migliore, però, ci è arrivata in questi giorni dalla rete di solidarietà che è riuscita ad intercettare esigenze purtroppo sempre crescenti. Oltre a Caritas, Don Tonino Bello, Soma, anche i progetti di singoli cittadini, come “Adotta una famiglia” di Katia Solomita e Rino Lucadamo, dimostrano come la creatività possa accendere le menti di chi ha già il cuore ben orientato.
Su alcuni punti il Sindaco è stato credo volutamente ambiguo: Festa ha accennato ad un progetto sulla riapertura delle scuole; inoltre, rispetto alla gestione dei buoni spesa, ha lasciato intendere a presunte pressioni. Su entrambe le questioni, sarebbe bene chiarire: in che modo un primo cittadino potrebbe affrontare una questione che non è di sua competenza? E se ci sono state pressioni da parte di qualcuno, perché non fare luce su un punto che in realtà non sarebbe propriamente politico. Certo è che toni vaghi e ambigui creano solo confusione.
Oggi inizia la “Fase 2”, ma inizierà anche la ripartenza solo quando le questioni della città verranno inquadrate in ottica sistemica con quelle dell’Irpinia, perché se ad esempio in città abbiamo le classi pollaio e in provincia le scuole chiudono, non basta tamponare per dire di aver risolto un problema. I sussidi non dureranno in eterno, c’è il rischio di un collasso sociale e di un inasprimento delle disuguaglianze. Sappiamo che questo è uno scenario assolutamente inedito, ci sarà bisogno di sostegno reciproco, ma affidarsi al leader forte escludendo la politica non ci porterà lontano.