Scrivere è sempre un colloquio con se stessi, il tentativo di comprendere il mondo e di esplorarlo. Scrivere è intessere un colloquio invisibile con chi ci leggerà, con chi è in attesa di una parola limpida, di un segno grafico, che diventa immagine e potenza, che l’aiuti nel mare tempestoso della vita. Per questo motivo, la “Festa del libro” di Sant’Andrea di Conza, che accoglie autori dal respiro nazionale, è una delle più incisive esperienze culturali della nostra terra. Incastonata nella rassegna teatrale di cui, solo qualche anno fa, si è celebrato il quarantennale, racconta la nostra essenza, nel fluire delle parole dei protagonisti – ospiti. Pochi giorni fa, Sant’andrea, ha ospitato Orlando Cinque, che ha dedicato il suo reading al drammaturgo August Strindberg. Subito dopo, la performance di Dario Vergassola con “Storie sconcertanti”. Autori che hanno trovato, nel piccolo centro irpino l’atmosfera adatta per incidere, nell’aria ancora purissima di questa terra, le loro storie ed i loro racconti. L’omaggio di Cinque al drammaturgo Strindeberg, ha fatto rivivere la potenza evocativa di storie e di versi che fanno riflettere. Un’immersione nel mondo della parola e della poesia che riverbera l’eterno universale dell’uomo. Parole capaci di toccare il cuore, in una atmosfera in cui le parole e le immagini sembravano prendere vita, creando legami invisibili tra l’attore che recitava e la concentrata attenzione degli astanti. Tutto questo a testimoniare che la parola è viva, in grado di trascendere le epoche e di salvare le nostre anime. Più graffiante l’ironia di Vergassola. Qui la parola crea felici alchimie anche con il contesto socio politico e satire incisive. L’ironia destabilizza, crea visioni inedite là dove impera il grigiore. Le sue interviste di Vergassola coinvolgono scrittori, scienziati, politici, sindacalisti senza farsi mancare brillanti manager o austeri professori. Con Fabrizio Caramagna, invece, ci addentriamo nel mondo delle cose celate e degli aforismi che rivelano verità nascoste. Scrittore, poeta, raffinato creatore di squarci di luce: «Non voglio solo brividi e voli colorati. Ho bisogno di cose che restano, che se oggi non puoi ci sarai domani, che se non hai capito provi di nuovo a chiedere, che se non lo sai fare impari, che se hai paura, ti affidi. Ho bisogno di persone che ti aspettano, di parole vere, di un orizzonte che non sfugge quando provi a toccarlo.» Caramagna preferisce «quelli che camminano sulle nuvole e parlano al vento. I pazzi per amore, i visionari e coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno». Episcopio pieno per Vinicio Capossela ed il suo recente “Eclissica” (Feltrinelli Edizioni 2022), il cantante – scrittore ha incantato il pubblico, ribadendo la sua capacità di esperto affabulatore. «Ogni viaggio si riallaccia ad una canzone, che puntella le pagine del libro. I miei genitori erano irpini – ha sottolineato – di Calitri ed Andretta. Ho sempre respirato, sin da piccolo, queste atmosfere, questi luoghi. Questi paesaggi, questi cieli mobili, le nuvole che si spostano di continuo, sono lo sfondo ideale per la musica di frontiera, quella che faccio io, e che ho cercato di portare anche in Irpinia.» Un’Irpinia che ha i contorni affascinanti della mitologia, come quella descritta nel “paese dei coppoloni”, con i paesaggi surreali tipo Garcia Marquez, con un tempo immoto, onirico, che avvolge uomini e cose. Ed è proprio la “terra dell’osso”, quella che tratteggia con la sua scrittura Vinicio Capossela, la terra dura dei contadini e, forse, dei vinti, degli sconfitti dalla storia. «Ricordo alcuni passaggi di “Cristo si è fermato ad Eboli”, di Carlo Levi – ha affermato – di una rassegnazione antica. Qui si vive, come ho scritto e come ribadiscono eremiti e santi, il “demone del meridiano”, che fa sprofondare nell’inerzia, che induce alla mollezza e all’accidia, in cui sprofondano uomini e cose. Ma è da questa terra che parte lo Sponz Festival, che quest’anno, in particolare, unisce coltura e cultura.» In questa scabra “terra dell’osso”, Capossela tenta di risanare le due fratture che hanno lesionato questa terra: l’emigrazione e la costruzione – scempio post sisma. E se davvero L’Italia non si divide in Nord e Sud, ma in centri urbani, zone costiere e zone interne, è da questa nuova visione che bisogna partire per approntare nuove strategie e per respirare al ritmo dei sogni del nostro paesaggio.
Vera Mocella
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