Forse. I giorni di quarantena nel reportage di Federico Iadarola – IL CIRIACO

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Era stato strano svegliarsi nella lentezza, senza fretta. Abituarsi ai cambiamenti richiede calma e un buon senso dell’orientamento. È un gioco di cuore e di mente. Immobilità di sentire, la ragione non è più.
Il pensiero rallenta a volte, altre no e arriva dove non dovrebbe nemmeno mai andare.

E poi c’è il silenzio di una nuvola di fumo sulla testa, la solitudine isolata nel distanziamento di uomini e legami per scongiurare un contagio.
Ogni giorno iniziava e finiva allo stesso modo e le ore sotto i tetti, dietro le finestre accese e spente, erano ombre di un tempo di attese e lunghe distanze di voci, di suoni, speranze e preghiere, paure e desideri senza forma e materia.
Innaturale e straordinario il concetto di libertà si infilava in un quotidiano che all’improvviso non era più.
L’esistenza dei giorni di quarantena se ne sta tutta negli occhi.
Ho visto tanti sguardi e occhi pieni insieme di piccole e grandi cose. Occhi di esistenza vissuta che si sdoppia e si sovrappone, si mischia e si confonde in una realtà separata, assente, sospesa come la nebbia fitta tra gli alberi senza foglie.
E mi confondo anch’io nella separazione del tempo, delle mani, delle braccia, delle bocche. Mi confondo come la vita tra il prima e il dopo e cado nel vuoto che resta.
Il vuoto è un buco dell’anima in bianco e nero con la trasparenza dei sogni, è grande e profondo tanto da chiuderci dentro un pezzo di storia, il mondo, la natura e milioni di vite. Un vuoto così meravigliosamente e terribilmente umano che passa perfino attraverso le porte e i cancelli di Dio.
La verità è che non si raccontano facilmente le lacrime e la sofferenza, nemmeno la paura e la precarietà. Si è impreparati al dolore, si è impreparati a una vita imprevedibile che sfugge al nostro controllo prepotente.
E la rabbia e il dolore allora li voglio gridare con tutta la forza della vita che sopravvive rarefatta e aspettare di sentire la loro eco che mi ritorna dentro, quasi a consolarmi e calmarmi.
Forse, vorrei solo raccogliere questi giorni, materializzarne il vuoto e il silenzio e conservarli in un sacchetto bianco di carta tra pensieri rinfusi senza colore, sentirne il rumore, assaggiarne il sapore, conservarli al di là del tempo come piccole schegge di vita.

Testo: Mariarosaria Di Sisto

Foto: Federico Iadarola

Biografia Federico Iadarola

Quello di Federico Iadarola è un universo d’immagini che spazia dai ritratti, alla magia dei paesaggi e alle suggestioni architettoniche.

Il suo è un occhio che scruta e scava nelle linee e nelle atmosfere distillandone l’intimo sentimento, l’essenza più nascosta.

Federico Iadarola

Dopo aver conseguito la laurea in Architettura si è dedicato completamente alla fotografia rilevando l’antica bottega paterna.

Dalle collettive fotografiche universitarie di metà anni ’90 ad oggi tanti e vari sono stati i luoghi e i momenti dedicati alla fotografia che l’hanno visto protagonista.

La sua ricerca continua, animata da una inesauribile passione e dalla costante ricerca dell’intensità e della verità di ogni immagine.

“Fotografo perché mi è sempre piaciuto farlo. Sono cresciuto che avevo un mago in casa che nel buio della sua stanza mi ha insegnato i trucchi con la luce. Ho subito capito che la fotografia è un ottimo strumento per comunicare senza il perimetro costrittivo della parola scritta, descrivere sogni e gridare senza urlare.”



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