Gerardo Ferrara: mi conquistò la semplicità di Massimo, essere sul set con lui è stato un dono

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“Mario Ruoppolo era lui, con la sua semplicità, con la sua passione per la poesia, con il suo desiderio di migliorarsi, di essere altro rispetto al luogo in cui era nato. Essere sul set con lui è stato un dono che la vita mi ha fatto e di cui sarò sempre grato”. Fa fatica a trattenere la commozione Gerardo Ferrara, controfigura di Massimo Troisi nel Postino, ospite della rassegna promossa dall’associazione Stravinsky “Quando un libro diventa un film”. A fare da padrona di casa la pianista Nadia Testa. Ferrara, intervistato dalla giornalista Floriana Guerriero, è un fiume in piena “Non c’era giorno in cui non mi ringraziasse, era capace di creare un clima speciale sul set, di grande sintonia. E tutti eravamo mossi dallo stesso desiderio, aiutare Massimo a stare bene e a finire le riprese del film. Non mi sono mai chiesto  che cosa avrei fatto dopo quell’esperienza, sapevamo che la priorità era lui. A volte capitava che si sentisse troppo stanco e che le riprese venissero spostate al pomeriggio e lui veniva vicino e si scusava del cambio di programma ‘M’ha scusà. Non me so sentito buono. Anche con la Cucinotta, alla sua prima esperienza, e con tutti gli attori era molto protettivo”. E’ un racconto che Gerardo non si stanca di consegnare ogni volta a un pubblico diverso “Mi contattò una ragazza di Sapri che era fidanzata con un giovane della produzione. Sapeva della mia somiglianza con Massimo e mi chiese delle foto. Mi spiegò che era urgente, che non potevano perdere tempo. Quindi fui chiamato dalla produzione e insieme a mia moglie Elena e un gruppo di amici arrivai a Roma, negli studi della casa di produzione. Ci accolse l’assistente alla regia, quindi ci dirigemmo a Cinecittà, ero ansioso, mi trovavo all’improvviso catapultato in un mondo che non conoscevo. Riconobbi Philippe Noiret e accanto a lui un uomo che scoprii essere il regista Radford, chiacchierammo un po’ e il lunedì successivo mi chiesero di presentarmi sul set. Avrei affiancato Massimo nella preparazione delle scene. Dalla sartoria mi raccomandarono in particolare di fare attenzione ai vestiti perchè erano gli stessi di Massimo”.

Spiega come “Non potrò mai dimenticare il momento in cui mi trovai di fronte Massimo, la scena era quella del matrimonio. Massimo girava non più di due ore al giorno, era debole e stanco, con lui c’erano costantemente un infermiere e un cardiologo. All’improvviso cala il silenzio ed entra lui, mi si avvicina e mi dice con un sorriso ‘tu mò te fa verè”. Ricordo che “Un giorno scesi dalla bici, con la quale dovevo girare una scena, mi scrollai un po’ di sudore dalla fronte, lui mi guardò e mi disse ‘Avessi fatto a stessa cosa’. O ancora seppe che dovevo tornare a Sapri per chiedere un periodo di aspettativa a scuola. Mi chiese se sarei tornato, lo rassicurai. Volle scrivermi una dedica per il preside che era tra l’altro un suo fan accanito. Nel vedere la dedica svenne”

“Sono tanti i ricordi che porto con me, un sorriso, una pacca sulla spalla ma l’emozione più grande era vederlo recitare”. Fino all’ultimo giorno sul set “L’ultima scena era quella in cui muore il suo personaggio. Brindammo, ci abbracciammo, felici che il film fosse terminato. Massimo non dimenticò nessuna delle maestranze, aveva un pensiero per tutti. Nell’abbracciarmi mi fece una promessa ‘Ti vengo a trovare a Sapri. Tu me fai sta buono’, Era venerdì sera. Il sabato sera morì. Ho sempre pensato che il film lo avesse tenuto in vita, voleva a tutti i costi completare le riprese. Dopo la sua morte in un clima surreale girammo un’unica scena, quella in cui Neruda ascolta la registrazione fatta dal suo amico Mario”. Con sè ha la dedica che Massimo volle fargli sul libro di scena delle poesie di Neruda «A Gerardo per la disponibilità, la pazienza e l’abnegazione con la quale ha reso più piacevole e meno faticoso il mio lavoro sul film il Postino. Ti auguro mille successi e grazie».  “Mi sono sempre sorpreso – spiega – che abbia usato la parola abnegazione, credo che abbia capito i miei sforzi, il mio essermi dedicato a quella che mi sembrava una missione”. E’ la moglie Elena a chiarire come “al funerale di Massimo lui e Renato Scarpa si sono fatti una promessa, quella di mantenere viva la memoria di Massimo. Anche con Renato è nata una bellissima amicizia. Massimo non smetteva mai di preoccuparsi per gli altri, salutava ogni giorno chi era sul set, persino nello scegliere le comparse si preoccupò di rincuorare chi era stato escluso. Ci ha insegnato il valore delle cose semplici. E’ stato un maestro di vita”. “Era preoccupato – prosegue Gerardo – che potesse morire e che Cecchi Gori rinunciasse al progetto del film, lasciando attori e maestranze senza compenso. Ci sono 100 famiglie, diceva, che vivono grazie a questo film”. E spiega come “insieme al regista Bencinvenga abbia raccontato Massimo in un documentario – “Il mio amico Massimo” per il cinema affidato alle emozioni di chi lo ha conosciuto”. Confessa come “Massimo mi ha aiutato a guardarmi dentro, Troisi amava il contatto diretto con le persone e vale lo stesso per me, forse per questo ho sempre evitato di iscrivermi sui social”. E’ convinto che “anche le nuove generazioni potrebbero amare Massimo, se le si avvicina nel giusto modo, se stimolate danno il meglio di sè”

Un racconto, quello di Gerardo, fatto di singolari coincidenze “Eravamo a Salina, dove mi raggiunse mia moglie Elena e m’informò che aspettavamo il nostro primo figlio. E allora Massimo, quando la incontrava, le chiedeva sempre: “Come sta Pablito?”». Fu mia moglie Elena, dopo la sua morte a volere che portasse il suo nome. L’altro figlio, Gaetano, è nato due anni dopo il 4 giugno, anniversario della morte di Massimo” Spiega di “aver fatto fatica a vedere Il postino, troppo doloroso. Credo che quest’incontro gli sarebbe piaciuto molto”


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