Gesù secondo il Corano – Corriere dell’Irpinia

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Di Vincenzo Fiore

Quando Maometto diede inizio alla sua predicazione nel 613, tre anni dopo l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele avvenuto in una grotta, non presentò il nuovo credo come una religione di rottura, bensì come una Rivelazione volta a completare e rettificare l’Ebraismo e il Cristianesimo. Secondo il Profeta, il Corano avrebbe dovuto confermare sia la Torah sia i Vangeli, correggendone però i passi che erano stati «alterati» e «falsificati». Gli errori dei Vangeli riguarderebbero in particolare la figura del Cristo, profeta che nell’Islam riveste un ruolo fondamentale, subito dopo Maometto. Il Corano riconosce Gesù come un inviato di Allah, nato prodigiosamente dalla Vergine Maria e capace di compire dei miracoli.

«E quando gli angeli dissero a Maria: “O Maria! In verità Allah ti ha prescelta e ti ha purificata e ti ha eletta su tutte le donne del creato” […] Disse Maria: “Come avrò mai un figlio se non mi ha toccata alcun uomo?” Rispose l’angelo: “Eppure Allah crea ciò ch’Egli vuole, allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: Sii; ed essa è!” (Cor. 3, 42-47)».

Gesù essendo Verbo di Dio (kalimat Allāh), è un segno per l’intera umanità, tuttavia, resta un semplice uomo. Gesù si differenzia da Abramo per il solo fatto di aver avuto una madre «eccezionale», entrambi sono nati direttamente dal «soffio vitale divino», ma nessuno dei due può essere designato come il figlio di Dio:

«Certo che sono empi quelli che dicono: “Il Cristo, figlio di Maria, è Dio”, mentre il Cristo disse: “O figli di Israele! Adorate Dio, mio e vostro Signore”. Certo chi a Dio dà compagni, Dio gli chiude le porte del Paradiso: la sua dimora è il Fuoco, e gli ingiusti non avranno alleati (Cor. 5, 72)».

Per l’Islam Gesù non è e non potrebbe essere il «terzo di una triade». Gli islamici negano il concetto di Trinità (parola intraducibile in arabo: Cfr. I. Peta, Il dialogo islamo-cristiano in lingua araba: temi e protagonisti, in aa. vv., a cura di M. Coppola, G. Fernicola e L. Pappalardo, Dialogus, Città Nuova, Roma 2014, pp. 135-150), spesso interpretata come «triteismo». La Trinità, infatti, sarebbe in contrasto con il primo “comandamento” islamico, ovvero la professione di fede (Shahādah): «Testimonio che non c’è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero». Dio non ha persone perché è in assoluto Uno ed Eterno e, come tale, è totalmente altro rispetto a ciò che è molteplice e finito. L’Islam è dunque, secondo una definizione di Josef van Ess, un monoteismo senza compromessi, il cui pressoché unico insegnamento teologico è l’unicità del divino (motivo per il quale non esistono eresie o divisioni in seno a questa religione, se non per motivi di discendenza politica, come accaduto per i sunniti, gli sciiti e i kharigiti).

«Credete dunque in Dio e nei Suoi Messaggeri e non dite “Tre”! Basta! E sarà meglio per voi! Perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio! (Cor. 4, 171)».

La cristologia coranica, inoltre, nega che Gesù sarebbe stato crocifisso, similmente come sostenevano i seguaci della dottrina eretica del docetismo (dal verbo greco dokéin, che significa apparire) e alcune comunità di ambiente gnostico della prima era cristiana. Affermare che un inviato di Allah sarebbe stato messo a morte risulta assurdo, infatti, la crocifissione sarebbe avvenuta soltanto in apparenza:

«Dissero: “Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, Messaggero di Dio”, mentre né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a lui, e in verità coloro la cui opinione è divergente a questo proposito son certo in dubbio né hanno di questo scienza alcuna, bensì seguono una congettura, ché, per certo, essi non lo uccisero, ma Iddio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio (Cor. 4, 157-158)».

Come spiegare allora questi “errori” contenuti nei testi sacri precedenti al Corano (Per un approfondimento Cfr. F. Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Bari 2007)? Durante il Califfato degli Abbasidi (750-1258) si instaurò un vivace dibattito, in un clima sicuramente più tollerante rispetto a quello dell’Europa medievale, fra pensatori islamici e cristiani (che spesso ricoprivano ruoli di primo livello nella società araba). Il tema principale di questo scontro verbale era quello della già citata alterazione (o distorsione; Taḥrīf). Secondo alcuni autori arabi le «Genti del Libro» sarebbero intervenute direttamente sui testi, modificandone volontariamente il senso. Più tardi si sviluppò però un’altra corrente che parlava sempre di alterazione, ma questa volta involontaria. Secondo questi altri autori, i cristiani e gli ebrei sarebbero stati colpevoli di aver interpretato letteralmente alcuni passi, essendo incapaci di cogliere l’allegoria nascosta fra le righe. In questo modo, i cristiani avrebbero attribuito al “Figlio dell’uomo” una natura divina. Sarebbe qui impossibile approfondire l’intero dibattito, ma sinteticamente si può asserire che per un islamico: Gesù che ha patito la fame, che ha provato dolore, che sentito stanchezza e che è stato tentato da Satana non può che essere un uomo, servitore di Allah e non figlio.



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