Guerra e il sonno della ragione

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Nel 1797 il grande pittore spagnolo Francisco Goya  realizzò in ottanta fogli un quaderno di dipinti (acqueforti e acquetinte) che intitolò “Los Caprichos”. I Capricci ,  stavano a indicare i vizi, le perversioni, le malvagità  che affliggono l’uomo sia come individuo come specie. Il foglio 43 rappresenta un uomo che dorme con il capo reclinato su un tavolo, circondato da figure mostruose, orribili, infernali. Goya  diede a questo foglio un titolo destinato a diventare famoso:  “Il sonno della ragione genera mostri”. Infatti, quando la ragione, come retta ragione, dotata di senso umano e di senso della misura, è come se dormisse, ovvero è tacitata, messa nell’impossibilità, di indirizzare la volontà verso ciò che promuove innanzitutto il diritto alla vita, la libertà, la dignità e il bene proprio e dei propri simili, si scatena la parte istintuale, egoistica, concupiscente e demonica dell’uomo, con conseguenze orrende quanto inimmaginabili per l’umanità. Si pensi a quando, nel giro di un trentennio (1914-1945), la Prima e la Seconda Guerra mondiale  (1914-18, 1939-45) ridussero il pianeta a un cimitero di più di cento milioni di morti, con tutt’intorno distruzioni, rovine, povertà e pianto.

Mai come oggi la coscienza  occidentale vive una profonda crisi, quasi un eclisse della ragione. Di che si tratta? Di qualcosa che, dopo le grandi commozioni sociali provocate dal terrorismo dell’estremismo islamico, trova la sua imputazione causale nella peste del Covid e nella guerra in Ucraina. Il Covid  ha provocato fino ad oggi   sei milioni 200 mila morti nel mondo, di cui 162 mila in Italia (con un tasso di contagio che non scende sotto il 15% e ci regala 50 mila e più contagiati e 100 e più morti al giorno). L’imperversare della peste, resa meno mortale dalla vaccinazione di massa, provoca conflitti continui  tra chi  invita alla cautela nella ripresa delle attività produttive e chi teme per il proprio lavoro, ed è comprensibile, e chi teme per i propri smodati profitti, ed è riprovevole al massimo. A questo si aggiunge la guerra in Ucraina, scatenata irresponsabilmente da Putin, mentre tante erano le vie per risolvere i problemi della popolazione russofona del Donbass. Di qui, insieme a un grande, autentico senso di solidarietà con il martoriato popolo ucraino, si è sviluppato nella pubblica opinione occidentale un sentimento anti-russo smodato, fatto di conati imperialistici e bellicistici, che i nostri governanti sollecitano e incoraggiano e di cui i mass media sono la grancassa. Si prefigurano così scenari somiglianti a quelli che speravamo di aver archiviato nelle pagine più brutte e trgiche della prima metà del Novecento.

Che fare, dunque? Mi pare evidente: bisogna risvegliare  la ragione, individuale e di massa, ridarle la parola, far prevalere le ragioni del dialogo, i sentimenti positivi e accomunanti, la pace. Appunto: bisogna battersi per la pace, sempre e comunque.  Dicevano gli antichi: “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra). Bisogna, invece, seguire quel che diceva Enrico Berlinguer. Il quale – in nome della lezione pacifista, umanistica  e cosmopolitica del pensiero occidentale da Erasmo, a Kant, a Simone Weil, per citare solo i maggiori filosofi –  affermava a voce alta:  ”Io la penso come i pacifisti di tutto il mondo. Se vuoi la pace, prepara la pace”.  E, ci permettiamo di aggiungere, bisogna contrastare il lassismo nelle misure anticovid, chiedendo che le esigenze della produzione e della ripresa economica si contemperino con quelle, ben più importanti, della salvaguardia della salute e del diritto alla vita.

di Luigi Anzalone



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