I bambini e la disfosia di genere

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Di Alfonso Leo

Un numero crescente di bambini e adolescenti con disforia di genere si sottopone alle cure. La risposta è un trattamento che afferma il genere cercando di allineare le caratteristiche corporee con l’identità di genere di un individuo. Questa è un’area terapeutica relativamente nuova e di certo si conoscono i risultati solo a breve termine, di certo non si ha un’esperienza pluridecennale. A seconda delle circostanze e degli obiettivi del giovane, gli interventi ormonali possono mirare a raggiungere la piena soppressione puberale, la modulazione degli effetti endogeni dell’ormone sessuale puberale e/o lo sviluppo di caratteristiche sessuali secondarie congruenti con il genere affermato. L’avvocato Karl Urlichs nell’Ottocento si ispirava alla mitologia classica presentandosi come “uraniano”. L’Uraniano era un individuo nato con un corpo maschile e un’anima femminile. In virtù di ciò era attratto dagli uomini e per certi versi si considerava una donna. Attualmente non si parla più di F to M o M to F, ma di AFAB o AMAB, non più da femmina a maschio o viceversa, ma Assegna- to Femmina alla Nascita o Assegnato Maschio… Non è una questione solo lessicale, essere maschio o femmina è una questione di assegnazione, di una denominazione e quindi reversibile in qualsiasi momento. La genetica non c’entra, la cultura, la scelta personale conta. Il ritrovarsi in un corpo che non coincide con la propria identità di genere è fonte di profonda sofferenza non solo psicologica ma anche fisica. La complessità implicita nella relazione con il proprio corpo, per gli individui con Incongruenza di Genere, evidenzia aspetti specifici dell’insoddisfazione del corpo (ad esempio, disturbi alimentari, difficoltà sessuali, ritiro sociale o maggiore incidenza di suicidi). Diversi studi hanno evidenziato una crescita significativa del numero di giovani che si presentano come transgender o trans nella vita quotidiana. Recentemente, anche il numero di giovani che presentano un’identità di genere non binaria (cioè i giovani che si identificano come un genere diverso da quello femminile o maschile) è aumentato. Il termine “non binario” è un termine generico che comprende diverse categorie di identità di genere che non rientrano nel quadro binario. Alcune persone non binarie si identificano come prevalentemente maschili o femminili, anche se con aspetti dell’”altro” genere (ad esempio, genderqueer). Altri rifiutano qualsiasi identificazione con le categorie di genere (ad esempio, agender, nessun genere, senza genere). Altri ancora sperimentano la loro identità di genere come mutevole nel tempo (ad esempio, bigender, gender-fluid, pangender) o si identificano come uno specifico “altro” genere (ad esempio, altro genere, terzo genere). Infine, alcuni individui adottano un’identità dirompente per sfidare apertamente il sistema binario di genere (ad esempio, genderfuck). Va rilevato, inoltre, che un numero crescente di AFAB si rivolgono ai centri che si occupano di identità di genere in età preadolescente o adolescente. Il centro presso l’ospedale Careggi di Firenze ha rilevato che il 32% era AMAB e il 68% era AFAB. Va tenuto presente che fino a 15 anni fa il fenomeno AFAB era pressoché sconosciuto alla scienza ufficiale. Altro dato interessante emerso da questa ricerca è che una percentuale significativamente maggiore nella fascia d’età 11-14 anni si definisce non binary o dice che sta esplorando alla ricerca della propria identità di genere, rispetto alla fascia d’età 15-18. Come afferma Gil Caroz, psicoanalista belga “Non esiste un’identificazione immutabile. Lo psicoanalista ne è spesso testimone quando un soggetto rivolge a lui la richiesta di ripristinare un’identificazione vacillante.” La psicoanalisi, afferma, è un tentativo di creare una sorta di de-identificazione, alla ricerca di identificazioni mutevoli e plurali. In un’epoca in cui come affermava Lacan l’Altro non esiste, il riferimento viene a mancare. La scomparsa dei riferimenti stabili crea una serie di tentativi di crearsi un’identità che copra le mancanze del soggetto. Ancora Caroz: “Laddove la scienza produce un soggetto diviso alla ricerca di un significante che lo rappresenti, la valutazione propone un’identità prêt-à-porter per questo soggetto, a condizione che consenta di essere ridotto a un oggetto misurabile.” Nel 1936 due psicologi Cox Miles e Therman idearono un test della mascolinità e della femminilità con l’intenzione di “rendere possibile una stima quantitativa dell’entità e della direzione della deviazione di un soggetto dalla media del suo genere di appartenenza”. Attualmente, fortunatamente, si comprende che la normalità è più una questione di preconcetti sociali che di identità individuale. Siamo arrivati all’epoca del dico che dove ormai, come scrive Miller nella soluzione Trans è ora l’epoca di “io sono quello che dico”, cercando un’identità che vada oltre l’identità sessuale.


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