di Eleonora Iandolo –
Sorgenti a secco, le cause sono tante: cambiamento climatico che comporta poche piogge, perdite lungo le reti idriche, inquinamento. Sono le ragioni per le quali in Irpinia, un giorno sì e l’altro pure, i rubinetti sono a secco.
A monte del problema c’è comunque la poca acqua disponibile. Lo rivela uno studio dell’Osservatorio Siccità del CNR (Consiglio Nazionale Ricerche): a novembre circa il 43% dei territori è stato sottoposto a condizioni di siccità severo-estrema, coinvolgendo oltre il 63% della popolazione.
Colpite maggiormente quelle regioni del Nord Italia, ricche d’acqua dopo oltre un anno e mezzo di clima particolarmente umido: Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, mentre, tra le regioni meridionali già in sofferenza idrica, quelle penalizzate anche da siccità novembrina sono state Puglia (43% del territorio), Calabria (41%), Sardegna (40%).
Risalendo lungo lo Stivale si registrano quasi ovunque livelli idrometrici in calo e portate fluviali decrescenti.
Per quanto la Campania, rispetto alla settimana scorsa, scorre meno acqua negli alvei dei fiumi Sele e Volturno, mentre in crescita è il Garigliano, il cui livello però si mantiene più basso dei valori registrati nello scorso quinquennio.
Di conseguenza, l’Irpinia è severamente coinvolta in questa crisi idrica, la difficoltà parte da una condizione estrema di siccità aggravata dallo scarso approvvigionamento delle sorgenti dovute ai mutamenti climatici ed ambientali, oltre alle numerose ed insopportabili dispersioni.
Le grandi perdite che si vengono a creare a causa di condutture fatiscenti e datate provocano contaminazioni esterne delle acque, come nel caso di Ariano Irpino in cui è stato creato un grave danno alla comunità e alle attività commerciali. Ecco allora che le interruzioni di acqua da parte dell’Alto Calore diventano un problema giornaliero e quando l’acqua c’è scatta il divieto d’uso, come è accaduto a Montoro per una contaminazione di tricloroetilene.
“Preoccupa che l’Italia idrica stia anticipando una tendenza simile al siccitosissimo 2022 con l’aggravante di un Centro-Sud già ora in difficoltà. Se il trend meteorologico dovesse persistere, avremo di che rimpiangere la tanta acqua rilasciata a mare per assenza di bacini destinati alla raccolta”, segnala Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).
Anche l’indice SWE (Snow Water Equivalent), seppur in crescita, è nettamente inferiore alle medie del periodo, nonché del 2023 e questo potrebbe essere un ulteriore motivo di preoccupazione per il prossimo futuro.
“Per ciò insistiamo a chiedere che i 7 miliardi di lavori definanziati per l’impossibilità di rispettare le tempistiche del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza siano urgentemente destinati anche ad avviare il Piano Invasi; i Consorzi di bonifica ed irrigazione hanno pronti circa 400 progetti in avanzato iter procedurale e che, se sollecitamente e adeguatamente finanziati, potranno rispettare i cronoprogrammi europei al 2026, migliorando la resilienza idrica dei territori”, conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.