“La speranza è che questa reliquia diventi bandiera e sventoli sul pennone più alto di quella nave dell’Italia e del mondo”. E’ il messaggio che lancia il vescovo di Avellino Arturo Aiello in cattedrale, nell’atto di benedire la camicia insanguinata del magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, custodita in una teca d’argento, accolta nel pomeriggio al Duomo. Ricorda come “Per il giovane Livatino, nella bellezza di un mattino di settembre, risuonò un grido, facendo sprofondare il buio su quel ‘meriggiare pallido e assorto’. Il giudice Livatino era un uomo del Sud, viveva in un paese delle nostre aree interne, costrette a fare i conti con mancanza di servizi e infrastrutture, in cui lo stato può essere, a volte, percepito lontano. Quel giorno quest’uomo cultore delle leggi, con la camicia stiratagli dalla madre, si recava a lavoro, non sapeva di viaggiare verso la morte. Ad ucciderlo l’Antistato, chi pensa, come ci ricorda il Gattopardo, che tutto cambi tutto cambi perchè nulla debba cambiare, chi vuole col silenzio spegnere i difensori della giustizia. Ed è sorprendente pensare che questa reliquia arriva dalla stessa terra da dove è arrivata la violenza omicida”.
Sottolinea come “Ho voluto fortemente che la reliquia fosse deposta sull’altare come un simbolo, a ricordarci che il corpo e il sangue di Gesù rivivono nel sangue dei martiri. Un sangue che ci salva. La camicia del giudice ragazzino appare quasi stretta in questo reliquiario e sembra essere sul punto di esplodere. L’augurio è che i suoi brandelli possano raggiungere i fedeli”. Nel tratteggiare il ritratto del giudice, chiarisce come “un eroe e o meglio un antieroe, per il suo essere un uomo rispettoso della legge, un credente, un professionista che svolgeva con dedizione il suo lavoro, convinto che da quel lavoro dipendesse il bene della comunità. Il suo sangue proviene da una terra martoriata che diventa santa proprio grazie a questo sacrificio”. Sottolinea come “Il giudice ragazzino non avrà il respiro popolare di alcuni santi ma saprà dare nuova forza a tanti uomini e donne. La speranza è che possa dare coraggio agli uomini di Stato che ricopriranno cariche di responsabilità”. A guidare Livatino un fede incrollabile, che “trovava la sua sintesi in quella frase ‘Sub tutela dei’, cifra distintiva della sua esistenza, la convinzione che sarà Gesù a proteggerci, a volgere al bene ogni cosa. Ecco perchè questa bandiera diventa un vessillo che sventola sul nostro Sud, contro la violenza di qualsiasi guerra”. In prima fila il procuratore Domenico Airoma, il prefetto Paola Spena, il questore Nicolino Pepe e il sindaco Gianluca Festa. L’arrivo della reliquia rappresenta l’atto conclusivo della mostra dedicata al giudice Livatino, di scena al Carcere Borbonico.
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