Il governo Draghi e le riforme

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Il governo Draghi è un governo tecnico, presieduto da una personalità di alto profilo, non parlamentare, economista, accademico, conosciuto e stimato in Europa e in tutto il mondo. Il Presidente Mattarella lo ha chiamato a costituire e presiedere un governo tecnico dopo che Renzi, esecutore materiale per conto dei poterei forti, aveva fatto cadere il secondo governo Conte e il Parlamento non era stato in grado di formare un nuovo governo. Si era in piena pandemia ed in emergenza ed il presidente aveva ritenuto opportuno non sciogliere le Camere.

Nella prima Repubblica tutti i governi sono stati espressione della politica anche quando non erano suffragati da una maggioranza. Sono stati governi di minoranza che hanno poi potato il Paese alle elezioni; di decantazione, in attesa di ulteriore riflessione o chiarimento, persino governi balneari, perché si è sempre ritenuto che la politica non potesse abdicare al suo ruolo di guida del Paese e di prendere decisioni che hanno sempre natura politica. Nell’antica Roma, madre del diritto e dell’organizzazione dello stato, nei casi di emergenza e di pericolo si sospendevano le istituzioni e si affidava il comando ad un dittatore fino al raggiungimento dell’obbiettivo, raggiunto il quale le funzioni dello Stato venivano ripristinate. Di governi tecnici si è cominciato a fare uso nel 1995 (dopo le dimissioni di Berlusconi) con il Governo Dini. Poi ci sono stati Monti ed ora Draghi. Prima, all’inizio di mani pulite, c’era stato il Governo Ciampi.

Dalla seconda repubblica in poi, invece, la politica non sempre è stata in grado di esercitare le funzioni che le sono proprie. Il governo Draghi, inoltre, ha ancora un’altra anomalia: si avvale di una larga maggioranza che va dalla destra alla sinistra con idee opposte e contrarie, molto difficili per trovare un equilibrio specie quando più ci avviciniamo alle elezioni.

Pe farla breve le riforme che ci impone l’Europa per poter avere gli stanziamenti disposti con il Recovery found un Governo siffatto e con una struttura così composita che si avvale di veti e contro veti non è nella possibilità – nonostante Draghi. – di fare quelle riforme che non si fanno da più di trent’anni e che chiamarsi tali devono davvero rinnovare e non cambiare qualcosa per lasciare sostanzialmente le cose come stanno. E per cambiare le cose ci deve essere sempre chi ci guadagna (che dovrebbe essere il bene comune e la maggioranza, e chi ci perde che dovrebbero essere quelli che devono abbandonare privilegi e rendite.

Così è stato finora con la destra italiana dei i vari Berlusconi, Renzi, Salvini, Meloni e con la stessa sinistra che, quando è stata al governo, non ha avuto il necessario coraggio per cambiare le cose. Così continua ad essere con Draghi. Niente riforma del lavoro, della scuola, dei trasporti, della burocrazia, del fisco. Dell’aumento delle tasse per chi si è arricchito ingiustificatamente manco a parlarne. Per la giustizia, la riformetta della Calabria, che sulla carta di propone di abbreviare la durata dei processi, di potenziare le garanzie difensive, di intervenire nella prescrizione (peggiorandola) e di velocizzare il processo civile, nella realtà va in modo assolutamente contrario per il tentativo della politica di mettere il guinzaglio alla magistratura. I magistrati sono contrari e sciopereranno il prossimo 16 maggio. Ritengono che la riforma violi i principi di autonomia della magistratura che i Costituenti misero come principi per la tutela dei cittadini contro gli arbitri e gli abusi dei diversi poteri dello Stato. Si sancisce la separazione delle funzioni e delle carriere tra i magistrati giudicanti e i PM per asservirli alla politica e si va contro l’evoluzione della legge e la sua interpretazione e applicazione al caso concreto che ha garantito la validità e l’originalità della magistratura italiana nonostante il continuo tentativo di sottoporla al potere politico.

Se questa è riforma è meglio farne a meno.

di Nino Lanzetta



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