Il governo va, la maggioranza traballa

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La XVIII legislatura, iniziata il 23 marzo 2018 e ormai vicina al giro di boa di metà percorso, conferma anche nelle più recenti battute di questa anomala estate i caratteri di eccezionalità che l’hanno segnata fin dall’inizio. E’ nata come la legislatura delle maggioranze variabili, sta diventando la legislatura delle maggioranze eventuali e provvisorie, mantenendo come unica costante la litigiosità fra i partiti e in qualche caso (vedi i Cinque Stelle) anche fra i gruppi parlamentari e i partiti che li hanno espressi. Il virus dell’instabilità e della diffidenza infetta sia la maggioranza che l’opposizione; l’unico che ne è esente è il presidente del Consiglio, che anzi beneficia, in termini di consenso virtuale e forse (domani?) reale, della manifesta incapacità dei suoi sostenitori e dei suoi stessi avversari di elaborare prospettive credibili di futuro. Così, mentre il Governo procede per la sua strada, la maggioranza traballa e l’opposizione coltiva la propria impotenza. Un’alternativa non c’è. Lo stallo attuale nasce dal ribaltone di un anno fa, l’estate del Papeete, quando Salvini si giocò in poche settimane un patrimonio accumulato vittoria dopo vittoria alle elezioni regionali, che lo avevano reso leader indiscusso della destra pur restando numero due di un Governo dai contorni difficilmente descrivibili ma che di destra non era. La compagine che ne è seguita resta indefinibile come la precedente: la destra, tutta la destra ne è fuori, ma una parte di essa è pronta a dare una mano nei momenti cruciali, come dimostra l’ultimo voto sullo scostamento di bilancio dove Berlusconi ha portato sia Salvini che Meloni su una posizione di astensione che valeva un via libera. Subito dopo, quasi fosse suonata la campanella della ricreazione, la maggioranza si è di nuovo divisa sulle presidenze delle Commissioni parlamentari, anche qui senza un disegno politico decifrabile, se non il voto a dispetto dell’alleato/avversario; e così Salvini, cacciato dalla porta del Governo giallo-rosa rientra dalla finestra del Senato, dove alla Giustizia viene confermato un suo uomo, contro un pezzo da novanta come Pietro Grasso e con grande scorno della sinistra di Leu. Magra consolazione per il leader della Lega, che ora dovrà vedersela con i magistrati per la sua politica antimigratoria, dalla quale il Conte II, al di là di proclami e di buone intenzioni, non riesce ancora ad emanciparsi. Tanta indeterminatezza e tanta incertezza sul presente e sul futuro sono evidentemente frutto di un’emergenza non ancora cessata, che consente al Governo di continuare ad esercitare poteri fuori dall’ordinario, ma che spinge oltre il proprio perimetro ogni proposito riformista. Il Pd a guida zingarettiana, completamente appiattito su Conte, ha ormai rinunciato a rappresentare l’ala progressista della maggioranza; i Cinque Stelle, nati come partito antisistema, si identificano pienamente con l’esecutivo, al punto di rischiare la sopravvivenza una volta privi di insediamenti ministeriali. L’estate non riserverà sorprese come quella di un anno fa, ma l’autunno si prevede carico di incertezze.

di Guido Bossa



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