Si fa strumento di analisi per comprendere come la metamorfosi rappresenti, talvolta, l’unica possibilità di resistenza per la letteratura, a partire dal rapporto dell’autore con il proprio tempo, il nuovo numero della rivista di studi desanctisiani. Lo sottolinea il professore Alberto Granese ,nel corso dell’incontro alla Biblioteca provinciale, moderato dal professore Ottavio Di Grazia, soffermandosi sulla ricchezza di spunti che offrono i saggi, a partire dallo studio dedicato dal professore Toni Iermano al rapporto tra De Sanctis e Leopardi. Centrale resta l’eredità culturale di De Sanctis, a cui si deve la definizione del canone leopardiano. Ad emergere, ancora una volta, prospettivi molteplici che attraversano letteratura, filosofia e pedagogia. E’ la professoressa Rosa Giulio a sottolineare come Leopardi rappresenti per De Sanctis un esempio vivo di poesia che finisce per ravvivare il desiderio di libertà, poichè non crede nel progresso ma lo fa desiderare, nel segno di una forte spinta etica. Una visione, quella di Leopardi, che appare a De Sanctis, come esempio di un poeta pronto a battersi contro ogni dogmatismo, trasformata in pretesto di battaglie ideologiche. Alla lettura leopardiana di De Sanctis si contrappone quella di autori come Cardarelli che liquidano Leopardi come simbolo di dilettantismo, incapace di smuovere lettori. Mentre critici come Croce e Gentile si riappropriano, successivamente, del Leopardi desanctisiano, accentuando, nel caso di Gentile, l’idea di una fede patriottica che conduce alla trascendenza, quasi veicolo di religione laica. Fino alla lettura di Saba che pone l’accento sull’aspetto sentimentale dei versi leopardiani mentre Savino pone l’accento sulla capacità della poesia leopardiani di farsi ribellione a ogni forma di regime. Persino, nel contesto visivo, in un artista come Morandi, Leopardi è fortemente presente e diventa simbolo della ricerca dell’essenza delle cose.
E’ Rosa Giulio a sottolineare come Leopardi diventa “crocevia per comprendere tensioni tra letteratura e politica, fino a diventare emblema dell’antidogmatismo, o ad essere manipolato come simulacro malinconico”. Di notevole interesse anche l’analisi di Malavasi che evidenzia come le riletture tardo ottocentesche di alcuni autori del Seicento, dal Tassoni a Boccalini fino a Salvator Rosa, abbiano snaturato la loro poetica, piegandoli a un discorso patriottico, così da soddisfare un bisogno identitario ed identificarli come precursori del Risorgimento. Così si costruirà il mito di Salvator Rosa, esponente di una setta segreta, che avrebbe preso parte alla rivolta partenopea di Masaniello, mentre la sua era solo una simpatia per i ribelli, senza nessuna idea di un piano unitario dell’Italia “In questo modo si è finito con l’appiattire la complessa realtà del barocco, con l’obiettivo di rafforzare la causa nazionale del Risorgimento”. E’ stato il professore Alberto Granese a ritornare sulla duplice lettura leopardiana del De Sanctis, riconducibile alla doppia linea di Giacomo De Benedetti e Giulio Gentile, per poi soffermarsi sull’analisi di Moraci che propone una controstoria della letteratura, evidenziando l’esigua attenzione rivolta da De Sanctis ad alcuni esponenti della letteratura meridionale, come Gioacchino da Fiore che influenzò Dante fino a umanisti napoletani come Pontano e Sannazzaro. “Grande l’attenzione rivolta, invece, a filosofi come Tommaso Campanella e Giordano Bruno e al romanticismo calabrese a cui rimprovera, però, di non averne compreso l’essenza democratica e rivoluzionaria”