il passaggio di Franco Di Mare sul terremoto dell’80 – Corriere dell’Irpinia

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Gentile Professor Fiore, ricordare Franco Di Mare è un onore e un dovere, per il grande giornalismo italiano e per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzare la sua passione e professionalità. Franco Di Mare non era solo un giornalista; era una voce autorevole e un’anima gentile, capace di raccontare il mondo con una sensibilità unica e un rigore ineccepibile. Con il suo microfono e la sua penna, ha dato vita a storie che hanno illuminato le pagine dei giornali e gli schermi televisivi, rendendo visibile l’invisibile e dando voce a chi non l’aveva. Il suo sorriso aperto e il suo sguardo profondo riflettevano la sua innata capacità di entrare in sintonia con le persone, di comprendere le sfumature più delicate delle vicende umane. Non si limitava a riportare i fatti; li viveva, li respirava, e poi li restituiva al pubblico con un’empatia rara.  La sua carriera è stata costellata di successi e riconoscimenti, ma ciò che rimarrà indelebile nella memoria di chi lo ha seguito è la sua integrità, la sua dedizione al mestiere e la sua capacità di raccontare la verità con coraggio e lucidità. Franco Di Mare ha insegnato a tutti noi cosa significhi essere un vero giornalista: non solo un cronista, ma un narratore di storie, un custode di memorie, un paladino della verità. Il suo lascito è un’eredità preziosa che continuerà a ispirare le future generazioni di giornalisti. Ricordo che in un suo libro c’era un passaggio anche sul terremoto dell’Irpinia, ma non riesco a ritrovarlo. Sarebbe possibile per voi pubblicarlo? (Antonella Esposito, Avellino).

RISPOSTA

Gentile lettrice, non poteva ricordare con parole migliori quello che è stato e che ha rappresentato Franco Di Mare. Lei si riferisce al passaggio tratto da: Non chiedere perché, Rizzoli, 2011, pp. 103-104. Il testo:

Eppure a volte per capire era sufficiente saper ascoltare. Si ricordò di quella volta che era riuscito a descrivere le conseguenze che il terremoto dell’Irpinia dell’80 aveva avuto sull’equilibrio di quella comunità grazie a una semplice intervista. Era bastato l’incontro con un uomo che si aggirava su una collina di macerie a Sant’Angelo dei Lombardi e raccoglieva piccole cose intorno a sé, oggetti all’apparenza privi di importanza: un fermaglio, un posacenere, una penna. Cercava con pazienza tra le pietre e le macerie e, appena qualcosa attirava la sua attenzione, si chinava a prenderla con delicatezza, come si fa con le more nei cespugli, e la riponeva in una scatola di scarpe vuota. Marco si avvicinò e gli chiese dov’era la sua casa e in che condizioni fosse.

– “È tutta qui. Ci stiamo camminando sopra.” rispose l’uomo, senza scomporsi.

– “E la sua famiglia?”

– “Stiamo camminando sopra anche a quella. Mia moglie è proprio qui sotto” disse indicando la punta delle scarpe. “Qui siamo sopra la cucina. L’avevo lasciata lì ed ero andato a prendere la legna per il cammino quando è arrivata la scossa. I miei due bambini sono più in là. In quel punto, vede? Quando sono uscito stavano giocando nella loro cameretta. Devono essere ancora lì. E ora, se vuole scusarmi…” e andò via, lungo quel cimitero di macerie, cercando frammenti della sua vita perduta.”

 



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