Il Sud tradito dalla sua classe dirigente

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Quel giorno a Palermo, quasi nascosto sulla collina di fronte all’abitazione di Salvo Lima, osservavo il cadavere del potentissimo esponente politico andreottiano e cominciai a viaggiare con il pensiero fra i mali che affliggono il nostro Paese. Mi passava nella mente la frase di Giovanni Falcone: “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”. Ma quando? La mafia oggi, invece, resiste e si espande quasi indisturbata, come dimostrano alcune prime dichiarazioni di Matteo Messina Danaro. Non solo essa. La ‘ndrangheta ha occupato l’intero territorio e gestisce gli affari minacciando imprenditori e funzionari pubblici; la camorra si nutre di morti ammazzati per il controllo delle piazze di spaccio della droga. Tutto questo ha origine nel Mezzogiorno. E’ qui che lo Stato dimostra la sua fragilità, l’impotenza nell’affrontare la radice del male. I governi che si susseguono hanno nei loro programmi la soluzione della questione meridionale, ma alla fine si tratta di impegni non mantenuti, di un arretramento rispetto al potere criminale che dispone di tecnologie avanzate. L’alternativa tra legalità e illegalità vede il sopravvento della seconda. Ci sono molti autori di libri che si interessano al Mezzogiorno con una visione antica o addirittura trionfalista. Deviano dalla compessità di un Sud senza Stato. Si guarda allo sviluppo, che presuppone investimenti, ed ecco che i poteri criminali si presentano e obbligano a pagare la tangente. La burocrazia meridionale è, in parte, infetta. Il potere pubblico s’inchina di fronte a quello criminale. Decine e decine sono le inchieste giudiziarie che si concludono con arresti di amministratori infedeli. La corruzione avanza. D’altra parte è significativo che quando esplose undici anni fa la vicenda di Tangentopoli, il Sud, con poche eccezioni, ne rimase fuori. Oggi ci si interroga sul possibile pericolo dell’infiltrazione criminale nei fondi del Pnrr. Si tratta di una grande torta a cui i poteri criminali non intendono rinunciare. Se questo è, allora ci si deve interrogare con quali azioni occorre bonificare il Sud e chi ne deve essere protagonista. E qui si apre il capitolo sul ruolo svolto dalla classe dirigente meridionale. Essa è per larga parte trasformista e clientelare. Molto spesso collusa con gli esponenti dell’illegallità. Molti rappresentanti meridionali in Parlamento sono l’espressione del voto di scambio e dunque nemici del Sud. Si fa fatica a selezionare un nuova classe dirigente che non sia piegata di fronte ai poteri forti della criminalità organizzata. Le stesse regioni meridionali, che gestiscono ingenti risorse, sono prive di una visione complessiva dello sviluppo con infrastrutture e si ritagliano spazi di gestione nei propri confini territorriali. Anche nella amara vicenda dell’Autonomia regionale differenziata si assiste più a una rivolta a voci alte che alla capacità unitaria di fare proposte. Ecco un’altra debolezza del Mezzogiorno: la rivolta. E’ stata messa in atto anche per le difficoltà degli uffici comunali carenti di personale per affrontare la sfida del Pnrr. A ciò si aggiunge l’incapacità di spesa anche delle risorse ordinarie dell’Europa. Se il Sud con la sua classe dirigente non è in grado di portare avanti una “rivoluzione meridionale”, finora auspicabile, ma nei fatti tradita, allora è il governo centrale ad aprire una grande sfida per risanare il Mezzogiorno dai suoi mali. Non si tratta di assicurare l’invio di più forze dell’ordine, ma di aprire una vera e propria battaglia per ripristinare la legalità. E per far questo occorre l’impegno anche delle forze sane ed intellettuali del Sud che non mancano. Altrimenti è inutile fare programmi, tipo masterplan, se poi si lascia libero campo alla criminalità organizzata. Oggi più che mai, con il turismo che produce ricchezza, grazie soprattutto ai beni ambientali del Sud, si deve bonificare il territorio prima che esso diventi prigioniero dei comitati di affari.

Gianni Festa

 


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