Il Vescovo Melillo agli studenti: “La pandemia ci ha insegnato che siamo tutti uguali” – IL CIRIACO

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“Cari ragazzi,
Quelli della mia generazione ricordano bene, dall’esperienza del Terremoto che ha segnato la nostra terra, cosa significa dover lasciare la casa in fretta, prendendo meno del necessario…… e, poi, ritornarci, magari giorni, settimane, mesi dopo. Rientrare lentamente, con preoccupazione, riappropriandosi con lo sguardo degli spazi, dei luoghi, degli oggetti che stanno ancora lì dove e come li avevamo lasciati, a ricordarci cosa stavamo facendo quando in un istante era accaduto l’impensabile”. Così il Vescovo Sergio Melillo, pastore dell’antica diocesi di Ariano Irpino, esordisce nella sua lettera agli studenti.

Il riferimento al Terremoto dell’Ottanta diventa uno spunto di grande intensità emotiva. I ragazzi, del resto, hanno sentito i genitori e i nonni “dividere il tempo” in “prima” e dopo” il Terremoto, come i bisnonni facevano con la guerra. Dopo un incipit drammatico il Vescovo sceglie un registro rasserenante.

“Voi, ragazzi, non avete per fortuna ricordi come questi. Anche voi – continua Melillo – avete dovuto abbandonare il vostro banco. Vi guardate intorno, ricordate quello che stavate facendo, forse con un po’ di diffidenza, ma dura poco: basterà alzare lo sguardo per incrociare quello dei vostri compagni, degli amici, e ‘casa’. Eccovi di nuovo qui, al sicuro”.

Nel passaggio che segue, di carattere più squisitamente pastorale, il presule invita i ragazzi a considerare l’assenza del compagno di banco, distanziato dalle nuove norme, l’assenza dei gruppi, degli schieramenti come una novità sostanzialmente positiva. Il Vescovo adotta il linguaggio dei ragazzi, un linguaggio che conosce bene (è stato per anni docente al Liceo Colletta). “Questa non è più l’epoca degli schieramenti, l’epoca di scegliersi il compagno di banco l’epoca di ‘speriamo che non mi capita quello sfigato’: ora si è fighi o si è sfigati tutti insieme. Quel metro che c’è tra un banco è un altro non mi isola: piuttosto ci rende tutti egualmente vicini. Perché è questa la sfida che ci aspetta e che, in realtà, aspetta tutti noi.
La pandemia non ci ha reso migliori: la cronaca più recente, anche in questi giorni, smentisce questa ingenua speranza. Quello che invece la pandemia ha fatto è stato mostrarci, quasi con la violenza di uno schiaffo, che siamo tutti uguali, tutti ugualmente fragili, tutti sulla stessa barca. Con le parole di adulti che vorrei imparaste, ci ha svelato che siamo un’unica comunità di destino. E’ solo se partiamo da qui che la pandemia potrà renderci migliori”.

Indubbiamente è la lettera di un presbitero, uomo di scuola, chiamato alla guida spirituale di un territorio, due momenti della storia personale del vescovo di Ariano che si colgono in un messaggio che muove dalla storia irpina, si proietta nella filosofia evangelica della vita: “tutti egualmente vicini” e non rinunzia a citare l’efferatezza del delitto di Paliano.

L’accenno iniziale al Terremoto, riporta, poi ad un grande predecessore avellinese sulla cattedra di Sant’Ottone: monsignor Pasquale Venezia che ha retto la diocesi nei tempi difficili del dopoguerra e che ha affrontato due devastanti terremoti nelle due diocesi che guidò in povertà e santità. Riaprono, intanto, le scuole dopo una parentesi drammatica.
Qualche decennio fa, riaprendo la Cattedrale di Avellino Monsignor Venezia scriveva: “Riaprendo la Cattedrale non si riaprono ancora le case che le facevano corona nel centro storico. Quelle porte chiuse e quelle macerie mute sono come una folla di poveri che stanno in attesa da troppo tempo”.

In tempi diversi una stessa intensità pastorale, nel ripetersi di momenti difficili la consapevolezza di essere, come scrive il vescovo Melillo, nella stessa comunità di destino.
Occorre, tuttavia, saper guardare avanti e opporre ai mesti ricordi del passato lo sguardo positivo, proiettato verso i lidi tersi e accattivanti dell’ottimismo che, inequivocabilmente, appartiene, aldilà delle prove ricorrenti, ai nostri ragazzi, sempre provvidenzialmente e ostinatamente proiettati verso il futuro.



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