E se fossero i nostri polmoni a soffrire di ipertensione? C’è una patologia rara, progressiva e invalidante che toglie letteralmente il respiro a causa di un aumento della pressione sanguigna nelle arteriole polmonari, determinando un affaticamento del cuore. Si chiama ipertensione arteriosa polmonare e si manifesta con una “fame d’aria”, che molti pazienti descrivono come la sensazione di respirare attraverso una cannuccia, oltre ad altri sintomi aspecifici, che spesso ritardano la diagnosi di anni.
Cos’è l’ipertensione arteriosa polmonare
L’ipertensione polmonare non ha nulla a che fare con la più comune ipertensione arteriosa sistemica, quella che possiamo facilmente misurare al braccio nello studio del medico curante oppure a casa. «Mentre nella seconda il sangue spinge con troppa forza contro le pareti delle arterie presenti nel circolo sistemico, l’ipertensione polmonare è caratterizzata da un aumento della pressione del sangue nei vasi arteriosi del polmone», spiega il professor Michele D’Alto, cardiologo, responsabile del Centro per l’Ipertensione polmonare dell’Ospedale Monaldi di Napoli.
«La forma più temibile e aggressiva è l’ipertensione arteriosa polmonare, caratterizzata da un restringimento delle arteriole di piccolo calibro, quelle periferiche del circolo polmonare. A quel punto, il ventricolo destro del cuore inizia a dilatarsi e il paziente sviluppa scompenso cardiaco».
In Europa sono circa 30 mila le persone con ipertensione arteriosa polmonare, di cui 3.500 solo in Italia. Si tratta di una patologia invisibile, che compromette la vita sociale, lavorativa e affettiva del paziente: «È più frequente fra le donne, anche se negli uomini presenta un decorso più grave, e colpisce soggetti di tutte le età, ma con una maggiore prevalenza fra 30 e 60 anni», descrive l’esperto.
Quali sono le cause dell’ipertensione arteriosa polmonare
Al momento rimane sconosciuta l’origine dell’ipertensione arteriosa polmonare, che viene quindi definita idiopatica, cioè senza cause note.
«Di certo esiste una predisposizione genetica, per cui ci sono famiglie in cui la malattia ricorre più frequentemente», evidenzia il professor D’Alto. «Ad oggi sono oltre dieci le mutazioni genetiche riconosciute come responsabili del problema, ma la vera e propria causa del rimodellamento che interessa le arteriole resta tuttora ignota».
Quali sono i sintomi dell’ipertensione arteriosa polmonare
Generalmente, l’ipertensione arteriosa polmonare esordisce con alcuni segni e sintomi aspecifici, come stanchezza, facile affaticabilità, fiato corto, gonfiore a piedi, caviglie, gambe e addome. Qualora la malattia non venga trattata, la sua progressione porta a uno scompenso cardiaco, per cui la dispnea (cioè l’affaticamento della respirazione, che prima compariva dopo sforzi importanti) inizia a presentarsi anche a riposo o durante la notte, subentrano un deterioramento della memoria e un senso di confusione, si manifesta tachicardia, si può arrivare allo svenimento.
«Tutto questo incide pesantemente sulla quotidianità dei pazienti, che si devono assentare spesso dal lavoro per visite mediche oppure perché non si sentono sufficientemente bene per svolgere la loro attività», ammette l’esperto. «Alcuni studi indicano che addirittura il salario delle persone con ipertensione arteriosa polmonare è inferiore rispetto a quello della popolazione generale, cosa che si ripercuote anche sulla famiglia».
Come si fa la diagnosi dell’ipertensione arteriosa polmonare
L’ipertensione arteriosa polmonare non si può diagnosticare con uno strumento semplice, come accade con il bracciale della pressione sistemica, ma richiede una serie di indagini. Generalmente, in caso di sospetto, l’esame di primo livello che viene prescritto è l’ecocardiogramma, che è in grado di stimare (non di misurare con certezza) la pressione polmonare.
«Le linee guida indicano delle caratteristiche che rendono il paziente a rischio basso, medio o alto di avere ipertensione arteriosa polmonare», racconta il professor D’Alto. «Per esempio, il medico osserva se le sezioni destre del cuore sono più grandi di quelle sinistre, se c’è versamento pericardico oppure se il ventricolo destro, la vena cava o l’arteria polmonare sono dilatati».
Qualora lo specialista rilevi delle “bandierine rosse”, l’iter diagnostico prosegue con esami non invasivi che servono a escludere problematiche respiratorie (come l’asma bronchiale o la broncopneumopatia cronica ostruttiva), molto più comuni rispetto all’ipertensione arteriosa polmonare.
«Emogasanalisi, radiografia del torace, Tac del torace e scintigrafia polmonare possono aiutare in questa diagnosi di esclusione o di conferma di altre patologie», assicura l’esperto.
L’esame per eccellenza
Se il sospetto persiste e il medico ha escluso tutte le altre cause, l’esame che può arrivare a una diagnosi certa è il cateterismo cardiaco, una procedura medica invasiva che implica l’introduzione di un sottile tubo flessibile (catetere) attraverso una vena periferica fino a raggiungere la parte destra del cuore, l’arteria polmonare e i rami più piccoli, in modo da misurare la pressione sanguigna nei vari settori presi in esame.
«Si tratta di una procedura sicura, ma che va eseguita da mani esperte, per cui è fondamentale rivolgersi a centri specializzati», raccomanda il professor D’Alto.
Come si cura l’ipertensione arteriosa polmonare
In passato, l’unico trattamento possibile per l’ipertensione arteriosa polmonare consisteva nel trapianto di polmone o cuore-polmone. Negli ultimi 10-15 anni, invece, il percorso terapeutico è cambiato grazie all’introduzione di farmaci che allungano la sopravvivenza, riducono l’ospedalizzazione e migliorano la qualità di vita dei pazienti.
«Attualmente ne abbiamo dieci a disposizione con diversa formulazione, orale, inalatoria, endovenosa o sottocutanea», riferisce il professor D’Alto. «Da poco è arrivato anche il primo farmaco biologico, frutto di una ricerca scientifica sempre più feconda nel settore: va assunto una volta ogni tre settimane, tramite singola iniezione sottocutanea, e la somministrazione può essere effettuata dal paziente stesso o dal caregiver, previa apposita formazione. È già stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale americana preposta alla sicurezza dei farmaci, e dall’Agenzia europea per i farmaci (EMA), per cui stiamo aspettando il via libera anche dall’Agenzia italiana del farmaco».
A chi rivolgersi
Per ricevere cure tempestive e adeguate, è fondamentale rivolgersi ai centri specializzati nell’ipertensione arteriosa polmonare, che offrono la competenza di un’équipe multidisciplinare, formata da cardiologo, pneumologo, reumatologo, medico internista, radiologo, psicologo e assistenti sociali. Per trovare il centro più vicino al proprio domicilio si possono consultare i siti web dell’AMIP – Associazione Malati di Ipertensione Polmonare e dell’AIPI – Associazione Ipertensione Polmonare Italiana Odv, sodalizi di pazienti che forniscono indicazioni pratiche su come muoversi sul territorio.
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