Ipotiroidismo: che cos’è, i sintomi e come si cura

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Immaginiamo una grande azienda, dove i capi reparto ordinano agli operai di lavorare poco e male, anziché spronarli a rispettare i loro ruoli. È quello che accade nel corpo in caso di ipotiroidismo: gli ormoni (T3 e T4) prodotti dalla tiroide, la ghiandola a forma di farfalla che si trova nella parte anteriore del collo, dicono all’organismo di lavorare lentamente e risparmiare energia. «A quel punto rallentano tutte le funzioni vitali, sia fisiche che mentali, e nel lungo periodo si ha difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane», racconta il professor Marcello Bagnasco, endocrinologo, professore a contratto presso il Dipartimento di Medicina interna all’Università degli studi di Genova e presidente dell’Associazione italiana della tiroide. «Il fenomeno può essere sottovalutato negli anziani, dove un “rallentamento” viene considerato un cambiamento naturale dovuto all’età; pertanto, una condizione di ipotiroidismo senile può restare misconosciuta».

L’ipotiroidismo è molto diffuso
«Fino a una cinquantina di anni fa, l’ipotiroidismo fa era considerato una malattia rara, di cui era difficile trovare una casistica, mentre oggi sappiamo che è piuttosto diffuso, al punto da interessare una persona su cinque/dieci», ricorda il professor Bagnasco. «Nella maggior parte dei casi, viene individuato in forma molto precoce, perché i dosaggi ormonali riguardanti la tiroide rientrano spesso e volentieri nel pacchetto di esami del sangue a cui ci sottoponiamo periodicamente, quindi è davvero infrequente arrivare a quadri di malattia conclamata dove i sintomi sono evidenti». Infatti, mentre l’ipertiroidismo (la condizione opposta) si fa “sentire” con un malessere intenso e pesante, l’ipotiroidismo è spesso sfumato e ha un’evoluzione lenta.

Quali sono i sintomi dell’ipotiroidismo
«Vista la diagnosi semprepiù precoce, non è detto che l’ipotiroidismo dia qualche avvisaglia di sé. A volte infatti è del tutto silente, mentre altre volte causa sintomi generici, come facile affaticabilità oppure tendenza a prendere peso».

Se invece l’ipotiroidismo è conclamato, si può avvertire una lunga lista di sintomi: intolleranza al freddo, cute secca e con tendenza all’esfoliazione, calo dell’umore, scarsa capacità di concentrazione, perdita di memoria, caduta dei capelli, alterazioni del ciclo mestruale, stitichezza, sonnolenza, anemia, ritenzione idrica e molto altro. «In caso di sospetto, si può confermare la diagnosi effettuando un semplice prelievo di sangue per misurare la concentrazione di TSH, un ormone prodotto dall’ipofisi, una ghiandola delle dimensioni di un pisello, situata alla base del cranio. Quando le quantità nel sangue di T3 e T4 tendono a diminuire, l’ipofisi invia mediante il TSH un segnale alla tiroide per comunicarle di lavorare più intensamente. Quindi, l’aumento del TSH indica che la nostra tiroide è poco attiva e va stimolata».

Una colpa “primitiva”
Nella grande maggioranza dei casi, l’ipotiroidismo è “primario”, cioè dovuto a una patologia tiroidea: la causa più comune è la tiroidite cronica autoimmune di Hashimoto, dovuta a un’alterazione del sistema immunitario che stimola la formazione di auto-anticorpi diretti contro alcuni costituenti delle cellule tiroidee e la distruzione del tessuto ghiandolare.

Molto più rare sono le forme di ipotiroidismo “secondario”, determinate da un malfunzionamento dell’ipofisi. Esiste poi l’ipotiroidismo congenito, per fortuna non frequente, dove già alla nascita si assiste a una grave carenza di ormone tiroideo per colpa di un problema, o addirittura di un’assenza, della ghiandola tiroidea nel bambino oppure di una grave carenza di iodio nell’alimentazione della madre durante la gravidanza. Se non trattata, questa condizione provoca alterazioni della funzione neurologica, disabilità intellettive, crescita stentata e deformità fisiche: «Questo quadro è chiamato “cretinismo” e oggi, per fortuna, è pressoché scomparso con l’aumento dell’apporto di iodio e con l’introduzione dello screening sistematico per l’ipotiroidismo alla nascita, che permette di instaurare un trattamento pressoché immediato con ormone tiroideo».

Quali problemi può causare
Anche da adulti, comunque, l’ipotiroidismo non va sottovalutato. Se nelle fasi iniziali raramente provoca disturbi, con il passare del tempo può causare numerosi problemi di salute, dai disturbi cardiovascolari alle malattie psichiatriche, compromettendo la qualità di vita.

«Per ipotiroidismo si può addirittura andare in coma e talvolta morire: si tratta di casi rarissimi, ma comunque possibili», avverte l’esperto. «Oggi sono ampiamente disponibili gli strumenti diagnostici e terapeutici per affrontare e risolvere l’ipotiroidismo. Sono semplici e permettono di evitare tutte le possibili conseguenze della malattia».

L’ipotiroidismo fa ingrassare?
Siccome l’ipotiroidismo rallenta i processi metabolici, questa condizione viene spesso correlata all’aumento di peso: «Se questo può essere vero, d’altra parte non dobbiamo dimenticare che il sovrappeso è sempre multifattoriale, per cui la tiroide non è mai l’unica colpevole.

Ovviamente, se a un cattivo funzionamento tiroideo sommiamo inattività fisica e dieta ipercalorica, ecco che mettere su chili diventa più facile», commenta Bagnasco. «È anche da considerare peraltro il legame fra ipotiroidismo e ipercolesterolemia, perché il deficit di ormone tiroideo può comportare effettivamente un aumento del colesterolo».

Cosa mangiare 
«Capita spesso di leggere informazioni inesatte sul rapporto fra dieta e tiroide. L’unica certezza è che questa ghiandola necessita del giusto apporto di iodio, contenuto in varia misura in diversi alimenti, in particolare provenienti dal mare, ma comunque tendenzialmente scarso: per questo è stato promosso, anche per legge, il consumo di sale arricchito di iodio.

Ciò non significa abbondare con il sale a tavola, ma usare sistematicamente quello iodato, restando però nei cinque grammi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Questo quantitativo è ampiamente sufficiente ad assicurare un apporto iodico adeguato», specifica Bagnasco.

Spesso si legge anche di limitare il consumo dei cibi che contengono sostanze in grado di interferire con il metabolismo dello iodio, come cavoli, broccoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, soia, miglio perlato, mandorle, arachidi e pinoli. «In realtà, non esistono paletti così stringenti: in caso di ipotiroidismo, basta seguire una dieta varia, equilibrata, tipicamente mediterranea e povera di piatti troppo grassi ed elaborati. Meglio evitare anche l’uso di cibi addizionati, come le patate iodate, perché potremmo arrivare a un eccesso di iodio, anch’esso nocivo per la salute». Esistono però condizioni in cui il fabbisogno di iodio aumenta, in particolare la gravidanza, quando – sempre su consiglio medico – è utile assumere integratori che lo contengono per favorire il benessere del feto.

Quali trattamenti
L’ipotiroidismo richiede un trattamento cronico a base di tiroxina (T4), che rappresenta una terapia sostitutiva: il paziente assume la quantità di ormone che il suo organismo non è in grado di produrre autonomamente.

«Stabilire il dosaggio corretto non è sempre facile. Generalmente si inizia con una dose relativamente ridotta, che viene gradualmente aumentata fino a trovare quella appropriata, con controlli periodici: l’assunzione è priva di effetti collaterali, a patto di non eccedere con la dose», tiene a precisare il professor Bagnasco. «Soprattutto negli anziani, infatti, un eccesso di terapia sostitutiva con ormone tiroideo può causare una tireotossicosi con conseguenze cardiovascolari. Ecco perché bisogna sempre seguire le indicazioni del medico, evitando il fai-da-te e la libera iniziativa».

Un falso mito da sfatare
Di tanto in tanto, sul web circolano voci sull’inefficacia della tiroxina sintetica, cioè “fabbricata” dall’uomo (come i farmaci tradizionali), che – secondo i suoi detrattori – non sarebbe in grado di esplicare alcuna funzione, perché non viene riconosciuta dalle cellule. Per ovviare al problema, si consiglia quindi di utilizzare la cosiddetta tiroide secca, una formulazione naturale costituita dalla ghiandola di maiale o bovino appositamente polverizzata. «Si tratta di una fake news, tra l’altro pericolosa», conclude Bagnasco.

«Se è vero che l’estratto secco di tiroide ha rappresentato il primo trattamento sostitutivo usato in medicina contro l’ipotiroidismo, oggi sappiamo che la tiroide animale può contenere quantità variabili di ormoni, in relazione allo stato di salute o alla nutrizione del bovino o del maiale di provenienza, per cui è impossibile sapere con precisione quanti ne stiamo assumendo. Siccome invece il dosaggio della T4 deve essere personalizzato sul singolo paziente, in base sia al peso corporeo sia alla capacità individuale di assimilare questo ormone, la formulazione sintetica rappresenta il presidio più sicuro ed efficace».

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