La querelle tra Provincia e Ato rifiuti va avanti da tanto, troppo tempo. Sembra quasi che una soluzione non la si voglia trovare. Il perché, per Rino Buonopane, presidente a Palazzo Caracciolo, è facile da comprendere: i rifiuti sono un grande business. Vecchia storia da tenere a mente quando la scelta è tra pubblico e privato.
Per trovare una risposta su cosa sia meglio bisogna guardare ai numeri. Il problema, secondo alcuni, è la sostenibilità dell’operazione, ovvero la sostenibilità finanziaria della spesa che dovrebbero sobbarcarsi i Comuni per diventare soci di IrpiniAmbiente. Però non si tratta di cifre esorbitanti, che variano comunque in base alla popolazione. Al massimo qualche decina di migliaia di euro per i Comuni più popolosi. Il capitale sociale di IrpiniAmbiente è stato valutato in poco meno di 2,5 milioni. Non è una spesa esagerata. O no?
L’ostacolo potrebbero essere i debiti che i Comuni hanno contratto con la Provincia. In questo caso ci sono ben 35 milioni da saldare perché le amministrazioni negli anni passati non hanno sempre e puntualmente pagato per il servizio. E si è accumulata una bella somma. Che per alcune amministrazioni potrebbe essere un problema almeno nel breve periodo. Però la Provincia è pronta a sottoscrivere dei piani di rientro lungimiranti. Si tratta di entrate assicurate: prima o poi i soldi arriveranno. Altri dieci milioni di debiti che non erano stati valutati esigibili al cento per cento sono oggi a carico della Regione e non più di Irpiniambiente.
Soprattutto, spartendosi il capitale sociale della provincializzata, i Comuni diventerebbero proprietari di IrpiniAmbiente, cioè dei loro stessi debiti.
Un investimento? Irpiniambiente ha circa 30 milioni di debiti nei confronti di fornitori: di cui otto milioni li deve a De Vizia Transfert. Tirando le somme, tra debiti e crediti pregressi: più 5 milioni.
L’ultimo bilancio è in attivo. Il primo dopo 14 anni: la società è passata da 4 milioni e 200 mila euro di passivo dello scorso anno ad un utile di un milione circa. E’ il risultato della spending review del nuovo manager Claudio Crivaro. Tanto per fare un esempio: il costo della frazione organica è stato dimezzato, da 200 euro a tonnellate a circa 100 euro. A ciò si aggiunge l’introito che deriva dal riciclo del vetro. Il trend è positivo. IrpiniAmbiente ha ancora un suo perché.
Ora dopo il via libera del consiglio provinciale per il passaggio delle quote ai Comuni, si attende il pronunciamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – intervenuta richiedendo integrazioni documentali all’Ato.
Quale alternativa ad IrpiniAmbiente? Secondo l’Ato guidata da Vittorio D’Alessio poteva esse una buona idea creare una società ex novo – Irze il nome scelto in un primo momento -. Una start up, se vogliamo, che per decollare avrebbe dovuto da subito trovare un po’ di milioni, una liquidità iniziale. Una nuova organizzazione con qualche operaio in più o in meno – IrpiniAmbiente ne ha circa 500 –. Ripartire da zero. Oppure da un bando europeo per l’affidamento, ripartire dal privato. Però i Comuni sarebbero obbligati a pagare i debiti subito perché la gestione in capo a IrpiniAmbiente sarebbe messa in liquidazione. Potrebbe funzionare, con qualche sacrificio in più. Se c’è volontà politica si può fare, se ci sono interessi economicamente forti, se conviene il business, se c’è profitto, va bene. L’importante è che alla fine a pagare di più non siano lavoratori e cittadini.
Non che il pubblico sia meglio del privato. Ci mancherebbe. La questione è trovare caso per caso la soluzione più efficiente, efficace, economica, semplice da realizzare. Perché qualsiasi artificio politico o speculativo sarebbe palesemente non utile, non richiesto, non necessario, incomprensibile e complicato perché richiederebbe tempo e soldi in più, determinando risultati imprevedibili.